Don Lucio Nicoletto vescovo a São Félix do Araguaia, nel Mato Grosso. «È come se rinascessi»

Don Lucio Nicoletto, fidei donum in Brasile da 19 anni, è stato nominato da papa Francesco vescovo prelato di São Félix do Araguaia, nel Mato Grosso

Don Lucio Nicoletto vescovo a São Félix do Araguaia, nel Mato Grosso. «È come se rinascessi»

«È la legge della vita: la Chiesa di Padova è come una mamma che mi ha generato alla fede e ora mi dice “vai, cammina con le tue gambe”. Mi sento come se stessi per rinascere». Così don Lucio Nicoletto, raggiunto in videochiamata a Boavista (Roraima, Brasile) a 48 ore dall’annuncio della sua elezione a vescovo della Prelatura di São Félix do Araguaia, nello stato del Mato Grosso, duemila chilometri a sud-est rispetto alla capitale dello Stato e della Diocesi dove dal 2019 è vicario generale (con una parentesi da amministratore diocesano). Nonostante i 19 anni di missione come dono della fede in Brasile, le prime parole di don Lucio sono «timore e tremore», «perché vorrei conoscere già tutto di questa nuova realtà a cui mi invia il santo padre e invece mi rendo conto di non sapere nulla. Mi sento come nudo e vulnerabile, ma è una grazia del Signore: è quando non sei in contatto con la tua fragilità che rischi di compiere le sciocchezze più grandi. Mi sento bisognoso di tutto, sarò a disposizione delle persone che incontrerò a São Félix, di chi è parte di quella storia da anni, sperando di crescere nella fede e in umanità, diventando quello che la Chiesa mi chiede di essere: un primus inter pares, capace di portare alcuni stimoli come di riceverli». 

Con quali attese ti recherai nella sua nuova Chiesa? «Ho tante aspettative, spero di trovare una comunità come in Duque de Caxias (diocesi suffraganea di Rio de Janeiro in cui don Lucio ha operato per undici anni dal 2005, ndr), basata sul trinomio fondamentale comunione-partecipazione-missione, coniato dalla tradizione latinoamericana, scelto anche da papa Francesco per il Sinodo in corso. Questo grande progetto lì ha avuto per protagonisti don Armando Cellere, don Francesco Biasin, don Orazio Zecchin, don Francesco Milan e tanti altri e poi il sogno di una Chiesa tutta ministeriale e sinodale è continuato anche qui in Roraima, dove dal 1970 a oggi, consapevoli del messaggio del Concilio Vaticano II, i vescovi hanno creato una Chiesa povera per i poveri, vicina alle popolazioni originarie e, dal 2017, vicina ai migranti che giungono dal Venezuela. L’eredità di dom Pedro Casaldàliga, primo vescovo di São Félix de Araguaia, è chiara: se elimini i poveri dalla Chiesa è come se eliminassi la Chiesa stessa; i poveri non sono una moda passeggera ma un’esigenza del Vangelo, vero soggetto dell’evangelizzazione. Arrivo a São Félix per trovare il sogno di una Chiesa autentica, trasparente come riflesso del Vangelo di Cristo e sento che, anche grazie ai vescovi Leonardo e Adriano, che mi hanno preceduto, c’è un filo rosso che unisce tutti i 53 anni di storia di questa Chiesa».

Quali sono le sfide più importanti che ti attendono? «Dalle origini molte cose sono cambiate, 53 anni non sono passati invano. I conflitti tra latifondisti e contadini hanno portato nel tempo spargimento di sangue, oggi non è più così, oggi le persone vengono eliminate attraverso la denigrazione, la diffamazione, le fake news... ma la Chiesa continua a essere voce profetica la cui autorevolezza è riconosciuta anche dagli oppressori e dagli oppositori, rimane scomoda e impaurisce. Dom Pedro Casaldàliga diviene vescovo nel momento in cui la dittatura militare promette di redistribuire la terra tra tutti i cittadini, ma non considera tali gli indio, che vengono spazzati via in nome della sicurezza nazionale. Lo slogan “Per la gente senza terra, una terra senza gente” si traduce nella spartizione di territori enormi in pochissime mani e si genera una catena di odio e razzismo nei confronti dei più poveri. Oggi il latifondismo è cresciuto ancora, tre o quattro grandi possessori si spartiscono ricchezze enormi: il 3 per cento delle persone possiede il 90 per cento dei beni della regione e l’agrobusiness non porta ricchezza al Paese, perché sovvenzionato ed esentasse, mentre lascia sul terreno gli effetti devastanti dei veleni e degli anticrittogamici, l’inquinamento e il disboscamento sono oggi le vere sfide».

Oggi stai per diventare un vescovo amazzonico. Che cosa è cambiato in loco dopo il Sinodo voluto per quella regione da papa Francesco nel 2019? «Il Sinodo è stato una ventata di speranza per la Chiesa in Amazzonia, una Chiesa che da tempo si sente vecchia e impotente di fronte alle grandi sfide di questo tempo. Qui l’evangelizzazione ha costi altissimi per la conformazione geografica del territorio ed è minacciata dalle sètte evangelico-pentecostali che imperversano sulla spinta del capitalismo che cerca di trasformare la religione in un prodotto da vendere più che una scelta di vita. Il Sinodo ha fatto sentire ai lontani che possono essere accolti dalla Chiesa, una Chiesa che ha bisogno di tutti perché Cristo abita in tutti e da ciascuno può arrivare la salvezza: siamo accompagnati da un Dio che è padre e madre, non da un dio settario. Ognuno è rivestito dalla dignità di essere figlio di Dio, oltre ogni moralismo, per questo c’è uno stile nuovo e partecipativo nell’essere Chiesa, non c’è più un’autorità che dall’alto indica direzioni e offre soluzioni, la soluzione stessa comincia a prendere forma quando ci mettiamo insieme e cerchiamo la comunione. La Chiesa è missione».

Questa nomina ci sollecita a restare aperti al mondo

«Siamo onorati che papa Francesco abbia scelto un prete della nostra Diocesi per affidargli la responsabilità della Prelatura di São Félix do Araguaia, nel Mato Grosso – ha sottolineato il vescovo Claudio il giorno della nomina di don Lucio Nicoletto – La sensazione è che sia una Chiesa che è ancora agli inizi e che per esprimersi ha bisogno di sollecitare la partecipazione di tutti i battezzati. In questo senso ci troviamo vicini, visto l’orizzonte nato dal Sinodo diocesano. Questo è una bella opportunità di comunione e collaborazione, anche se a distanza. La nomina di don Lucio, inoltre, ci sollecita a mantenere la nostra apertura su tutto il mondo. Brasile, Venezuela, Etiopia e Thailandia – dove siamo presenti con Chiesa di Padova – sono indicatori che ci diamo per essere rivolti al bene di tutto il mondo. Per imparare a dirci fratelli e sorelle di tutti gli uomini».

La missione, «un uragano che continua»

Nel saluto per il giorno dell’annuncio della sua elezione a vescovo, don Lucio Nicoletto scriveva: «La grazia della missione è entrata nella mia vita come un vento forte, un uragano che mi ha cambiato profondamente dal percorso di logica dell’incarnazione». Oggi commenta: «L’uragano continua dopo 19 anni di Brasile. Tutti noi tendiamo alla comodità ma poi la vita smuove, la Provvidenza chiama. Come fare? Occorre fidarsi. Ho compreso che la Chiesa è passata dalla logica del proselitismo a quella dell’incarnazione. Non siamo detentori di una verità, ma in cammino con chi la cerca: come a Rubano, quando all’apertura del Minore abbiamo chiesto a una pittrice (Maria Rocca, ndr) di raffigurare il Seminario. Lei lo ha dipinto come una delle tante case nel paesaggio, solo di un colore diverso, dorato. Sappiamo che il Signore ci abita e ci raggiunge, ma non ne siamo i detentori esclusivi».

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