Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana: "Mettiamoci alla scuola dei poveri per riscoprire le nostre povertà"

Don Marco Pagniello Il direttore di Caritas italiana ha concluso il convegno affidando tre “consapevolezze” per orientare il lavoro futuro

Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana: "Mettiamoci alla scuola dei poveri per riscoprire le nostre povertà"

La fede e le opere. Per riscoprire il senso profondo dietro ogni azione, anche la più piccola, dalla telefonata alla persona indigente a quella borsa della spesa consegnata che regalerà un po’ di serenità a una famiglia in difficoltà economica. Al termine dei lavori del 42° convegno nazionale delle Caritas diocesane sul tema “Camminare insieme sulla via degli ultimi”, il direttore di Caritas italiana don Marco Pagniello ha voluto ribadire come dietro il servizio di Caritas ci sia sempre il Signore che viene, che viene a instaurare il suo Regno: «Noi siamo chiamati ad annunciare il Regno di Dio e le opere devono essere uno strumento per annunciarlo». Ricordando le parole di mons. Pierangelo Sequeri su come «le opere rischiano di appesantirci», «noi vogliamo mettere in atto opere che annuncino il Regno dei Cieli, e per farlo siamo chiamati a vivere la complessità, ad abitare la città degli uomini che è in continua costruzione e rinnovamento». E in questa città degli uomini, la via preferenziale è quella dei poveri: «Dobbiamo saper leggere il mondo di oggi con gli occhi dei poveri, e non solo dei poveri economici, sono molti i nuovi volti della povertà come ci ha ricordato mons. Zuppi». La sfida allora è quella di «leggere i fenomeni globali per comprendere il locale», ma per farlo serve «lo stile del Vangelo» senza «scadere del martalismo», capaci «solo di assistere». Annunciare la speranza è allora una sfida profetica «per uscire dal guado», «vogliamo prenderci questa responsabilità non perché siamo migliori ma perché siamo chiamati da Dio a fare questo». Una responsabilità di lavorare «insieme ai poveri e per i poveri, liberandoci dall’ansia di dover fare da soli, potendo chiedere aiuto». Ma anche «uscire dai nostri schemi, confrontandoci con chi la pensa diversamente da noi, avendo anche il coraggio a volte di fare un passo indietro».

«Non dobbiamo aver paura di sporcarci le mani con le istituzioni, dalle quali a volte ci sentiamo delegati e che a volte ci usano, ma stare, accompagnarle per fare conoscere ciò che siamo». Con alleanze che mirino a risolvere i problemi alla radice: «Ce lo ha detto il Concilio, il nostro compito non è solo servire, alleviare e accompagnare, ma anche provare, non da soli, a rimuovere le cause della povertà. Non possiamo essere semplicemente quelli che mettono le toppe alle ingiustizie, dobbiamo essere capaci di fare qualcosa anche con creatività, non delegando solo agli altri il tema della legalità». E nel 50° anniversario dell’istituzione della legge sul servizio civile, Caritas si deve occupare anche di pace: «Si parla di pace solo quando c’è la guerra, ma la pace va costruita soprattutto in assenza di guerra, anche pensando a una nuova legge per il servizio civile». L’intervento di don Pagniello si è concluso con la fotografia di tre “consapevolezze”, che orienteranno il lavoro di Caritas nei prossimi mesi. La prima è che «siamo chiamati a fare la nostra parte, in modo nuovo e opportuno al tempo che viviamo, per un nuovo welfare e le sfide della società». La seconda consapevolezza sta nella necessità di «abitare le tensioni con gioia». «A volte, la tentazione più grande è quella di smettere di pedalare, di scendere e abbandonare, invece noi siamo quelli che, rispondendo a una chiamata di Dio, la nostra vocazione, vogliono stare nelle tensioni. E perché in questa sfida i giovani possano fare al meglio la propria parte hanno bisogno di adulti che in maniera responsabile passino il testimone». Ultima attenzione è il «protagonismo dei poveri»; «metterci alla scuola dei poveri per imparare a essere poveri, lasciandoci toccare e graffiare dall’ascolto per riscoprire anche le nostre povertà». Per fare tutto questo è cruciale per le Caritas a vario livello la verifica: «Per essere creativi dobbiamo rileggere le nostre opere, senza piangerci addosso, o dire quanto abbiamo sbagliato per ripartire dai nostri fallimenti».

Dall’ascolto le idee che fanno la differenza

Le idee nuove che nascono dall’ascolto. Caritas italiana, in conclusione del 42° convegno nazionale delle Caritas diocesane, ha ascoltato le parole di Vincenzo Linarello, presidente del consorzio Goel, una comunità di persone, imprese e cooperative che operano per il riscatto della Calabria attraverso l’impresa sociale come principale motore di cambiamento. «Con un’etica efficace si fronteggia la ‘ndrangheta. Efficace, perché risolve un problema senza crearne altri. Spesso abbiamo usato termini di natura militare contro le mafie, ma il nostro obiettivo non è quello di vincere, ma di convincere. Convincere nella duplice accezione del termine: convincere della visione etica dello sviluppo che è contenuta nel Vangelo e convincere nel senso di vincere insieme». Linarello avverte: «I veri cambiamenti della storia sono cambiamenti che non creano danni agli altri, ma quando tutti vincono. Anche se una parte fosse nel giusto e imponesse il cambiamento, in qualche modo produrrà qualche altro danno».

Un esempio concreto? Contro gli attentati della ‘ndrangheta agli imprenditori e agli agricoltori che si rifiutano di cedere alle loro angherie, Goel ha sperimentato le “Feste della ripartenza”. Contro la depressione sociale di un sistema che cerca di convincere sul fatto che nulla cambierà mai, queste “Feste” attivano solidarietà, contributi, visibilità verso quelle aziende prese di mira dalla malavita: «Dopo qualche mese andiamo dalle tv locali e mostriamo tutte le cose positive accadute a quelle imprese dopo l’attentato: prima avevano un capannone vecchio ora ne hanno un nuovo, prima un trattore vecchio oggi uno nuovo, prima avevano venduto poco, oggi molto». Il risultato? «Sono finite le intimidazioni. Negli occhi degli agricoltori, in queste Feste, c’era per la prima volta la percezione di forza, di avere in mano il proprio destino». Una spinta che porta non più solo a difendersi, ma ad appropriarsi del proprio territorio, anche arrivando ad accedere ad immobili e a terreni prima off-limits, lotti di aste giudiziarie da anni deserte per paura della malavita.

Sono tre le vie che fanno sì che tutto questo possa funzionare: «Ascolto non pregiudiziale, fede pregiudiziale, follia creativa». Ascolto non pregiudiziale: «I poveri vanno sentiti tutti senza pregiudizi, ascoltando e assorbendo le storie come delle spugne. Lungi da chi dice di mantenere il distacco, l’ascolto funziona se ne usciamo devastati». Fede pregiudiziale: «Noi sappiamo che cambieremo la Calabria ed è solo questione di tempo. Non me lo deve dimostrare nessun sociologo, è una fede che non ha bisogno di ragioni». E infine la follia creativa: «Bisogna prima di tutto imparare che le cose che non hanno funzionato non funzioneranno. E poi avere la cultura del fallimento: il fallimento è prezioso, ci insegnerà come fare la prossima mossa, è la via di apprendimento più efficace».

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