Ecuador. Tulcan. Insieme a formare il futuro di una giovane Chiesa

Dal 1979 i preti padovani furono impiegati nella fondazione e nell’avviamento del seminario minore e maggiore della Diocesi più settentrionale dell’Ecuador, ai confini con la Colombia

Ecuador. Tulcan. Insieme a formare il futuro di una giovane Chiesa

La soddisfazione più grande? «È stata la possibilità di lavorare nel cuore di questa giovane diocesi, nella sua crescita, nella formazione del suo futuro». Così don Giuseppe Alberti, l’ultimo prete padovano a lasciare il seminario di Tulcan, dove è stato professore e responsabile per undici anni, sintetizza la sua esperienza ecuadoriana. Un’avventura pastorale e umana che, oltre il seminario minore e maggiore, ha avuto come scenario alcune realtà parrocchiali come la cappella Las Juntas, fondata da don Cornelio Boesso e portata a termine dal compianto don Evaristo Mercurio, le parrocchie di Los Andes, Santa Marta di Cuba, Imaculada e, per sette anni, anche l’ambiente carcerario.

«Il seminario di Tulcan – spiega – è sempre stato attento a tutte le dimensioni dell’essere sacerdote, dalla spirituale alla culturale, dall’accademica alla teologica. Ma noi educatori puntavamo soprattutto sulla dimensione umana del prete: se non c’è l’uomo, si diceva, non c’è il cristiano e nemmeno il sacerdote. Dio entra nella dimensione umana, che diventa il filtro attraverso cui si manifesta, parla, salva. Per questo la nostra umanità, quella dei preti in particolare, deve creare le condizioni perché Dio si manifesti e trasmetta la sua grazia. Dal 2001 è stato curato l’accompagnamento psicologico-affettivo dei ragazzi con colloqui individuali ed esperienze di gruppo per seguire l’io nella crescita personale e nella relazionalità con gli altri».

Il seminario è stato fondato nel 1979 dal vescovo mons. Luis Clemente de la Vega, con accanto il padovano don Cornelio Boesso, appositamente trasferito nella città di Tulcan. Don Cornelio, che già a Padova era stato sette anni in seminario maggiore come assistente e vicerettore, si è speso completamente per undici anni a servizio della struttura intitolata a Nuestra Señora de la Paz: «Il seminario era il grande sogno di mons. de la Vega – ricorda – fin dalla nascita della diocesi, nel 1965: aveva già in mente perfino il progetto dell’edificio. Siamo partiti con 32 ragazzi alloggiando nella casa della benefattrice che ha donato il terreno. Una camerata per dormire in cui pioveva dentro: dovevamo alzarci di notte per spostare i letti e mettere i catini. Un altro ambiente adiacente faceva da aula scolastica e refettorio. Contemporaneamente siamo partiti con la costruzione del nuovo edificio e già a novembre del 1979 abbiamo cominciato a tenere lì le lezioni. Con l’inizio dell’anno scolastico 1980-81 siamo passati a vivere completamente nei nuovi ambienti con due classi. Il seminario è stato ufficialmente inaugurato l’8 dicembre 1980; alla sua costruzione ha collaborato, oltre alle offerte provenienti dalla diocesi di Padova, le conferenze episcopali tedesca e svizzera. La gente del posto offriva il ricavato delle feste e le giornate di lavoro gratuito, mingas. Per posare le fondamenta principali vennero più di cento persone per quattro giorni».

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Terminato il minore, mons. de la Vega volle partire anche con il maggiore, progettato dall’architetto Pino Toniolo: «Il vescovo desiderava per i suoi preti una formazione diversa da quella impartita dai seminari “accademici” di altre diocesi, pensava a sacerdoti pienamente inseriti nel mondo rurale da cui venivano, essenziali e poveri nello stile di vita, pratici del lavoro pastorale sul campo. Negli anni di maggiore affluenza si è giunti a cento ragazzi al minore e trenta al maggiore».

A lavorare accanto a don Cornelio sono giunti subito don Arcangelo Rizzato e don Pietro Baretta, che però non sono rimasti a lungo. È stato con l’arrivo di don Sante Varotto e don Tarcisio Favaron che si è costituito il primo “trio” durato una decina d’anni. Per un anno è stato assistente a Tulcan anche don Tiziano Cappellari.

Rientrato in Italia don Boesso nel 1990, giunsero a Tulcan don Silvano Silvestrin e don Evaristo Mercurio, mentre don Favaron fu sostituito nel 1992 da don Antonio Compagno e don Varotto da don Luciano Danese, tutti con esperienze educative al seminario padovano. Nel 1991 era stato ordinato il primo prete interamente formato a Tulcan, padre Anìbal Diaz, e nel 1993 fu inserito il primo educatore locale, poi divenuto rettore, padre Juan Carlos Chàvez. Nel 2000 è giunto a Tulcan don Giuseppe Alberti che dal 2004 è rimasto l’unico padovano. A Tulcan dal 1986 al 1996 un laico padovano, Walter Favaron, ha organizzato l’attività agricola e di allevamento nei 15 ettari di terreno donati al seminario, dove lavoravano dei campesinos colombiani, gli stessi seminaristi e perfino i loro genitori.

«Negli ultimi anni – continua don Alberti – il numero dei seminaristi a Tulcan si è ridotto, soprattutto con la chiusura del minore: da un lato sono venuti a mancare i ragazzi che si iscrivevano solo per la scomodità e l’onerosità dell’offerta scolastica pubblica, la quale nel frattempo si è molto ampliata; dall’altro si è cominciato a chiedere ai nuovi iscritti di avere almeno un atteggiamento aperto verso la vocazione; infine ha inciso anche il venire a mancare la spinta propulsiva dei preti padovani e il rapido lievitare dei costi, in seguito alla dollarizzazione dell’economia ecuadoriana. Non si è comunque trattato di un calo qualitativo, ma di una maggiore energia spesa nella pastorale vocazionale».

La collaborazione tra Tulcan e Padova comunque continua, con la presenza nella nostra diocesi, ospite della parrocchia di Tencarola retta da mons. Danese, di padre Lenin Gonzalo Hernández Chulde, entrato in Seminario minore a Tulcan nel 1989 e consacrato sacerdote nel 2000, a 24 anni. A Padova frequenta la Facoltà teologica del Triveneto: «La mia diocesi – commenta – ha celebrato 55 anni della sua vita ecclesiale con al centro della sua opera il seminario Nuestra Señora de la Paz, un’opera meravigliosa nella formazione umana e vocazionale di più di 140 giovani con l’obiettivo di preparare sacerdoti nella visione del Vaticano II. Il frutto della missione e della formazione, anche grazie ai fidei donum, è per la nostra Chiesa una grande dono: siamo una quarantina di sacerdoti della nostra e di altre diocesi, Santo Domingo e Tena. Il seminario, chiusa l’esperienza interdiocesana, continua a essere il cuore della nostra piccola Chiesa con sei seminaristi».

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Don Giuseppe Alberti (in alto, il primo a destra) insieme ai preti del seminario di Tulcan nel 2018, anno della sua ultima visita all’istituto che ha lasciato nel 2011. Nel gruppo c’è anche padre Lenin Gonzalo Hernández Chulde (in basso, il terzo da destra), attualmente ospite della parrocchia di Tencarola per frequentare la Facoltà teologica.

“Palestre” di attività pastorale

Accanto al seminario di Tulcan, i preti padovani seguirono anche alcune parrocchie vicine, utili “palestre” di pastorale concreta anche per i seminaristi: Cristo Rey, Fernandez Salvador, Mariscal Sucre, San Gabriel, La Delicia, Los Andes.

Mons. de la Vega, pastore appassionato

Don Cornelio Boesso ricorda la passione che il vescovo di Tulcan mons. Luis Clemente de la Vega sapeva trasmettere: ogni sera andava a visitare una comunità. La sua morte, il 4 maggio 1987 in un incidente stradale, lasciò un grande vuoto.

Il ferrocarril: 25 chilometri all’ora, una sola carrozza

La valle del rio Mira, che scendeva da Ibarra a San Lorenzo, era percorsa da una linea ferroviaria locale: il ferrocarril aveva una sola carrozza che viaggiava a 25 chilometri all’ora. Ogni stazione una piccola comunità. Ora c’è una camionabile.

Nel seminario di Ibarra. Con i giovani, passati dalla capanna al computer

Dopo un primo periodo trascorso nel seminario di Tulcan («una grande avventura, perché andava creato da zero»), don Pietro Baretta, giunto in Ecuador nel 1980, ha iniziato il suo lungo servizio educativo e pastorale nel seminario di Ibarra, affiancando padre Juan Bravo nell’insegnamento e occupandosi della pastorale giovanile e vocazionale diocesana. Un’esperienza che si concluse nel 1998 e che il prete padovano commenta con entusiasmo: «Sono stati gli anni più belli. Non si trattava di andare a insegnare, ma di mettersi dentro alla realtà di un popolo con ritmi, sensibilità e necessità diverse. Un rapporto di ascolto, attenzione, rispetto, accoglienza, simpatia».

Si era in anni ricchi di fermento per tutta la Chiesa latinoamericana: nel 1979 c’era appena stata la terza conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, aperta dal discorso di san Giovanni Paolo II, conferenza che aveva ripreso e focalizzato i temi dell’attuazione del concilio Vaticano II e dell’opzione per i poveri già lanciata nella conferenza di Medellin nel 1968.

«Un intero continente - sintetizza don Baretta - stava parlando la stessa lingua e dava la parola ai poveri, anzi agli “impoveriti” dal sistema neoliberale, dall’emarginazione degli indios, dalla deportazione dei neri, alle comunità di base, con i loro gruppi e i loro leader, ai giovani che costituiscono la larga maggioranza della popolazione. La “opzione giovani” significa coscientizzarli perché siano loro gli agenti di cambio e di trasformazione. E noi lavoravamo in questa direzione, con pieno coinvolgimento, con grande entusiasmo nel sentirsi protagonisti. Il metodo messo in atto nei ritiri, negli incontri vocazionali, nei corsi di formazione degli animatori di comunità, era fissato per tappe: presa di coscienza della realtà locale, analisi, illuminata dalla Parola, per capire che cosa il Signore ci chiedeva come cristiani, e l’impegno a mettere in pratica queste intuizioni, questi progetti con un’azione trasformatrice della realtà».

Il tutto stava avvenendo in un momento di travolgente cambio culturale, con i giovani che passavano dal campo alla città, dalla capanna al computer, e le famiglie che compivano sacrifici enormi per sostenere questo salto epocale.

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