Il Sacramentario Veronense. La ricchezza che ritroviamo nell’attuale Messale romano

Il Sacramentario Veronense, che verrà esposto durante il convegno sulla liturgia delle Chiese del Triveneto, è uno dei più antichi libri liturgici della cristianità. 139 pagine per 1.331 tra orazioni e prefazi scritti in onciale

Il Sacramentario Veronense. La ricchezza che ritroviamo nell’attuale Messale romano

A partire dalla seconda metà del quarto secolo, la Chiesa locale di Roma ha fatto la scelta pastorale di usare la lingua latina anche per i testi liturgici, così come s’era già fatto per i testi biblici fin dal secondo-terzo secolo e come s’era già venuto creando – per merito dei grandi scrittori d’Africa – un latino cristiano. Prende così il via un periodo di intensa creatività e nasce la “scuola eucologica romana”, che vede tra i suoi grandi maestri papa Leone Magno (390-461). I frutti di questa creatività vennero gradualmente scritti in libelli, piccoli fascicoli, e custoditi, per poter essere riutilizzati, nell’archivio del Laterano (in scrinio Laterani). È a questo punto che entra in scena il manoscritto LXXXV (olim 80) custodito nella biblioteca Capitolare di Verona. Scoperto da Scipione Maffei nel 1713, venne edito da Giuseppe Bianchini nel 1735 e poi da Cuniberto Mohlberg et alii nel 1994. Il primo editore lo designò come “Sacramentario Leoniano”, ritenendolo opera di papa Leone Magno; il secondo come “manoscritto ovvero Sacramentario Veronense”. Consta di 139 pagine, ma la numerazione dei quaderni inizia con il numero romano IIII: mancano tre quaderni e, dunque, il manoscritto è mutilo. La grafia è un onciale disinvolto e bello; nelle ultime pagine si trova una grafia semionciale con peculiarità attribuibili ad amanuensi veronesi. Questi e altri caratteri fanno propendere per l’identificazione di un manoscritto copiato fuori Roma nel primo quarto del settimo secolo. Si tratta di 1.331 pezzi eucologici (orazioni e prefazi, abitualmente raggruppati in formulari di messe). Queste sono distribuite secondo il calendario civile romano. La maggior parte dei giorni liturgici non ha un formulario solo, bensì più di uno, a loro volta non omogenei ma costruiti con un numero assai svariato di orazioni. Dunque il manoscritto non è un vero e proprio sacramentario: è piuttosto una collezione di materiali (libelli missarum), probabilmente di epoche e di autori diversi. Eppure in essi troviamo una grande ricchezza teologica e spirituale: la tematica cristologica, la capacità di esporre tutta la storia della salvezza alla quale il mistero pasquale celebrato dona pienezza di significato. Tutto questo è passato nei grandi sacramentari e nel Messale Romano che oggi usiamo.

mons. Alceste Catella
Vescovo Emerito di Casale Monferrato

Ciò che dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio

«Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. [...] Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l’hanno potuto vincere. Perciò quando un pagano dice a un cristiano che è fuori della vita, dice una stoltezza. [...] E quando mi pensa debole non si accorge che il debole è lui. I filosofi, i re e, per così dire, tutto il mondo, che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio» (san Giovanni Crisostomo)

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