Il carisma sta nella cura

«Io sono perché noi siamo» dice l'etica africana dell'Ubuntu. “Io sono” da solo non esiste, esiste perché ci sono altre persone accanto a me. Gesù lo esprime in modo molto forte nel vangelo, in più occasioni. Una filosofia che è di casa a Progetto Miriam, l'iniziativa, gestita dalle suore francescane dei poveri, nata a Padova nel 1998.

Il carisma sta nella cura

«Io sono perché noi siamo» dice l'etica africana dell'Ubuntu. Un concetto non molto conosciuto, tipico della zona subsahariana, che esprime in sintesi il fatto che siamo tutti collegati, interconnessi, persone fra persone, ma anche uomini e creato. “Io sono” da solo non esiste, esiste perché ci sono altre persone accanto a me. Gesù lo esprime in modo molto forte nel Vangelo, in più occasioni. Una filosofia che è di casa a Progetto Miriam, l'iniziativa, gestita dalle suore francescane dei poveri, nata a Padova nel 1998 in risposta all'appello dell'allora vescovo Antonio Mattiazzo di prendersi cura delle donne immigrate e, in particolare, delle donne vittime di tratta e grave sfruttamento.

«L'attenzione ai poveri, in particolare alle donne – spiega suor Gabriella D'Agostino, una delle referenti del progetto – è già della nostra fondatrice, Francesca Schervier. Noi continuiamo quella strada accogliendo tutte le donne, senza distinzione di religione o di razza e che vivono situazione di forte difficoltà. E le donne che accogliamo hanno subìto di tutto, arrivano molto provate, chiuse, ferite. All'inizio faticano a fidarsi, ad aprirsi. Faticano a percepire quel “io sono perché noi siamo”. Pian piano diamo loro affetto, creiamo un clima familiare e questo le aiuta ad affidarsi. Le ragazze stesse si accolgono a vicenda e se una sta male, le altre ne risentono. Si crea una certa familiarità, anche di vissuti, sono accomunate da un cammino di crescita».

Le ragazze sono impegnate, dopo un periodo di ambientamento, in un laboratorio creativo occupazionale che non è solo uno spazio dove la mani lavorano per fare bomboniere, bamboline, fiori di stoffa, ma è anche luogo di socializzazione e integrazione sociale dove l'ascolto, il sostegno e l'accoglienza si fanno concreti. «Qui – spiega suor Gabriella – si sperimenta la maternità: noi impariamo a stare al passo di chi ci è stato affidato, loro hanno bisogno di regole e fermezza. Spesso provengono da situazioni in cui la figura del padre è inesistente, oppure dove la famiglia le ha tradite. Hanno bisogno di sentirsi dire dei “no” e proprio come con i figli questo servirà per un futuro di autonomia e noi dobbiamo essere in grado di lasciarle volare con le loro ali».

Proprio come i figli, le ragazze fanno un percorso di scoperta, o meglio, di riscoperta di loro stesse, delle potenzialità che hanno e della bellezza che portano dentro e che spesso non vedono. «In questo servizio – conclude suor Gabriella – viviamo un'esperienza di privilegio, difficile e intensa, che ci permette di vedere il volto di Gesù nelle ferite di queste donne. È una gioia essere qui e poter sollevare quel volto, poter sanare le piaghe. Qui l'esperienza di guarigione è fortissima. Siamo tutti un po' feriti e anche noi guariamo. Il contatto con le donne è un'esperienza forte di spiritualità, di conversione».

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