Il grazie dei Meic a mons. Luigi Sartori, un precursore della sinodalità, anche senza citarla

Disponibile a gennaio un e-book con un contributo inedito di mons. Sartori. Il 12 maggio è in programma un evento

Il grazie dei Meic a mons. Luigi Sartori, un precursore della sinodalità, anche senza citarla

Il Meic, Movimento ecclesiale di impegno culturale di Padova, coglie l’occasione del centenario per mostrare la sua gratitudine verso mons. Luigi Sartori per la vicinanza prima e dopo il Vaticano II manifestata in innumerevoli occasioni, compresi i ritiri annuali tenuti dagli inizi degli anni Novanta fino al novembre del 2006. Oltre all’adesione alla celebrazione del 1° gennaio, il Meic propone un evento il 12 maggio, data vicina all’anniversario della morte (2 maggio 2007): a un breve ricordo con un profilo della persona e del teologo seguirà la relazione di Antonio Ricupero su “I ministeri laicali in Luigi Sartori”, contributo che apparirà in Studia Patavina, rivista che don Luigi ha fondato nel 1954. Con il Seminario e la Facoltà teologica del Triveneto, sarà edito in e-book un commento inedito di Sartori alla “Carta Ecumenica europea” del 2001, nello stile dei “ritiri” 2002-03. La pubblicazione sarà disponibile in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 18-25 gennaio, all’interno della quale anche le preghiere dei fedeli saranno ispirate dai suoi pensieri. Entro il 12 maggio uscirà anche l’edizione cartacea. A don Marcello Milani, assistente diocesano del Meic, chiediamo: cosa ha dato mons. Sartori ai laici? «Don Luigi mostrava nella sua persona che una buona teologia è in grado di esprimere un’autentica e vivace spiritualità: nutrendosi di Vangelo, ne incarna i valori nella storia. Ha testimoniato poi la passione per la dimensione ecumenica vissuta nel quotidiano delle comunità, quello di una fede attenta all’altro che crea amicizia e perciò è capace di dialogo e scambio, anche nella Chiesa, con lealtà. Per questo amava l’esperienza ecumenica di Combes, dove convivenza e amicizia venivano prima dello studio e lo favorivano. Riteneva che “la carità è anima dell’ecumenismo: non prima la verità e poi la carità, ma prima la carità per accogliere insieme la verità”. La Chiesa stessa era da lui concepita come una grande processione nella quale ci si deve occupare non solo di chi è in testa (monaci, religiosi...), ma anche di chi è intruppato o sta in fondo, per stanchezza o disinteresse. La laicità era continuo confronto con le culture e assunzione delle umane esperienze e competenze. È il volto dell’incarnazione: Gesù impara a essere uomo – si umanizza – e così è in grado di parlare agli uomini offrendo la sua umanità. Ne nasce una teologia “sapienziale”, ispirata ai libri sapienziali che traggono linfa dalla vita; così i laici cristiani affrontano i problemi nelle professioni e nell’ambiente sociale. La laicità è dono per la comunità: ogni esperienza e vocazione ha conseguenze ministeriali o di servizio. Ogni dono diventa compito e impegno: è la morale della responsabilità». Oggi si parla di Chiesa “sinodale”... «Senza usare la parola “sinodalità”, Sartori riteneva che bisognava camminare, pensare e lavorare insieme. Anche la teologia va creata insieme, realizzando soggetti comunitari dove il noi prevale sull’io. Consapevole dell’eccedenza del mistero e della verità affermava: “Il mio credere è autentico nella misura in cui coinvolge il credere di tutti, anche dei non credenti, in quanto persone che almeno avvertono la stimolazione al trascendente”. Allora bisogna ascoltare tutti, anche... i matti!». Che indicazioni ha offerto mons. Luigi Sartori per il futuro? «Di Sartori colpiva la propensione “istintiva”, anche da anziano, a protendersi al futuro con ottimismo, prefigurando scenari nuovi. È il Sartori più avanti di Sartori stesso: il “sognatore” mistico! In tale contesto vorrei ricordare anche le riflessioni su “la carità della cultura”, in armonia con il tema forte nel tratto finale del suo percorso: la carità radice del nostro essere. Vi aggiungo i commenti a Ad Gentes, decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa, mostrandone il valore nella capacità di partire dalle culture, per far maturare “stili di vita” concreti e alternativi (profetici), e annunciare il futuro, compresa l’ecologia. Così egli non sosteneva la “nuova evangelizzazione” con ripresa e rinnovo di metodi o abilità, ma esigeva una evangelizzazione “nuova”, con nuovi contenuti e prospettive: bisogna andare alla fonte e radice del senso della propria esperienza e dell’esperienza di senso che tutti possiamo fare».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)