Santo Stefano d’Ungheria ha celebrato i 60 anni. Il vescovo Claudio: «Vogliate bene alla vostra storia»

Santo Stefano d’Ungheria Il vescovo Claudio ha presieduto la messa di chiusura delle celebrazioni per il 60° di nascita della parrocchia

Santo Stefano d’Ungheria ha celebrato i 60 anni. Il vescovo Claudio: «Vogliate bene alla vostra storia»

Si è respirata aria di festa a Brusegana per la prima visita del vescovo Claudio, in occasione della messa di chiusura delle celebrazioni del 60° dalla fondazione della parrocchia, concelebrata dai sacerdoti della comunità guanelliana e con la presenza del sindaco di Padova, Sergio Giordani. Ma con un occhio alla memoria, «che permette di arricchirsi del passato e di non commettere gli stessi errori – spiega il vescovo Claudio nell’omelia – Anche la memoria di questa parrocchia è una ricchezza: la sua dedicazione a santo Stefano re d’Ungheria non è un caso, ma ha dietro una storia che ci riporta all’Europa di 60 anni fa, quando anche gli ungheresi furono costretti a fuggire dal loro Paese. Una storia che poi si è ripetuta con i vietnamiti e i cambogiani, e che ci ricorda che anche noi un tempo siamo stati profughi». La celebrazione è stata dunque l’occasione per fare memoria insieme, ma anche per riflettere sul presente e il futuro di un quartiere periferico, posto lungo la via che conduce ai Colli Euganei, che negli ultimi anni è divenuto uno dei più multietnici di Padova. «Un piccolo territorio che però ha a che fare con cose grandi, fondamentali per il nostro stesso essere cattolici, ovvero letteralmente universali – continua il vescovo – I movimenti di popoli sono una condizione quasi permanente della nostra società, come aveva già ricordato papa Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris, per questo vorrei ringraziare chi in questi anni ha dato una testimonianza concreta di accoglienza. Vi faccio un invito: vogliate bene alla vostra storia, conservatela; questo però è possibile solo se riuscirete davvero a essere una comunità di cristiani, un gruppo di persone che si vogliono bene e che sanno vivere le une accanto alle altre». Un impegno, quello di essere a fianco degli ultimi (che spesso coincidono con gli ultimi arrivati), che è dunque fin dalla fondazione nel Dna della parrocchia oggi guidata da don Oscar Kasongo, congolese e primo parroco africano nella Diocesi. «Come consiglio pastorale, ma anche come comunità, abbiamo preso degli impegni riguardo l’apertura e l’integrazione di tanti fratelli che non sono italiani ma vivono in questo quartiere» sottolinea il sacerdote dei Servi della Carità (padri guanelliani), felice anche per il recente arrivo in parrocchia – a sottolineare se necessario il suo carattere multietnico e al tempo stesso cattolico – di don Adelin Bukete Van’ser, anche lui della Repubblica Democratica del Congo, e di suor Vasantha dall’India. L’ultimo concerto di Natale è stato curato dai nigeriani, mentre nella sagra di giugno state coinvolte in cucina le mamme marocchine. Tante le donne straniere che imparano la lingua e la cultura italiana alla sede della Caritas, mentre anche con i bambini cinesi ci si trova ogni sabato per stare e studiare un po’ insieme. «Per noi è bello scoprire culture che magari prima ignoravamo. Soprattutto però si tratta di un primo passo importante perché tutti si sentano a casa».

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