Udine, laici ministri nelle collaborazioni pastorali

La riorganizzazione pastorale che è in atto nell’Arcidiocesi di Udine riguarda non solo una riorganizzazione operativa, ma l’intento è anche un rilancio dell’evangelizzazione

Udine, laici ministri nelle collaborazioni pastorali

«Nel luglio 2018 – dichiara mons Ivan Bettuzzi, delegato episcopale per l’attuazione del progetto delle collaborazioni pastorali – con la firma del decreto del vescovo, le cosiddette collaborazioni pastorali sono diventate la forma dell’organizzazione delle nostre comunità. Siamo una realtà molto parcellizzata: abbiamo 500 mila abitanti distribuiti in 374 parrocchie, dislocate in montagna, in campagna, nelle città, lungo i confini e una miriade di piccoli villaggi che numericamente non hanno più la possibilità di costituire una pastorale adeguata». Le collaborazioni nascono quindi da un’esigenza sociologica e per il progressivo spopolamento che caratterizza il Friuli Venezia Giulia in modo particolarmente duro. «Tenendo conto di questi elementi e delle difficoltà che viviamo a livello pastorale e di evangelizzazione – continua il delegato – è nata l’esperienza delle collaborazioni pastorali, chiamate così perché richiamano l’esigenza di un lavoro di rete e allo stesso tempo la custodia dell’identità delle singole parrocchie». A oggi l’80 per cento della Diocesi è a regime. La pastorale è stata suddivisa in sette ambiti (famiglia, carità, catechesi, pastorale giovanile, amministrazione, liturgia, cultura e comunicazione), per ognuno c’è un referente che ha il compito di coordinare la progettazione e la formazione nel territorio della collaborazione pastorale. «La collaborazione innanzitutto è fra i referenti pastorali – sottolinea mons. Bettuzzi – La criticità maggiore l’abbiamo riscontrata nella classica allergia al cambiamento. La prima grande riserva è da parte dei parroci: in alcune aree più che in altre c’è una tendenza a resistere, ma ciò che non scegliamo in realtà ci viene imposto dal contesto. Dove ci sono 200 o 400 abitanti è evidente che la collaborazione pastorale è la soluzione». In questo riassetto emerge la figura del parroco coordinatore che ha il compito di presiedere il consiglio pastorale di collaborazione e coordinare i referenti pastorali d’ambito in comunione con gli altri presbiteri, rappresenta la collaborazione in seno alla diocesi. Un capitolo del progetto riguarda poi la ministerialità laicale. «Abbiamo usato il termine sinfonia – spiega il delegato episcopale – per indicare anche quali devono essere le attenzioni da tenere nel momento in cui si struttura la collaborazione pastorale. Una raccomandazione del progetto è che vengano suscitati ministeri, laici e ordinati, laddove non ci sono. Quindi abbiamo ripensato ai ministeri in relazione all’identità della Chiesa e non della funzione perché è il ministero a caratterizzare la Chiesa. Il ministero laicale assume una importanza decisiva nel momento in cui i referenti pastorali d’ambito hanno in comunione con il parroco coordinatore il compito di gestire l’ambito per quanto riguarda la formazione e la progettazione pastorale, sono quindi moderatori di un gruppo di operatori pastorali. L’idea è di evitare la retorica della sostituzione vicaria, cioè non possiamo limitarci a dire “non ci sono preti e quindi abbiamo bisogno di laici”».

Il secondo passaggio, avviato dall’arcidiocesi di Udine lo scorso luglio, e che caratterizzerà il prossimo triennio, riguarda il percorso sull’iniziazione cristiana. «È necessario ripensare questo processo – afferma mons. Bettuzzi – non semplicemente come una catechesi perché devono essere amministrati dei sacramenti, ma per riscoprire quello che ormai la cultura contemporanea non riesce più a garantire, cioè l’incorporazione dentro un percorso esistenziale che diventi realmente iniziatico. Un tempo la cultura era permeata di cristianità, c’erano valori condivisi che richiamavano una scelta cristiana che era scelta culturale, sociale, strutturata e una persona crescendo diventava un buon uomo e un buon cristiano contemporaneamente. Oggi tutto questo non è più e per certi aspetti è anche negato». Quindi il lavoro delle collaborazioni adesso è quello di ripensare tutta l’offerta pastorale a partire dal fatto che l’iniziazione cristiana deve essere pensata come processo. «Il paradosso che c’è ovunque – conclude il delegato udinese – è che finiti i sacramenti le persone se ne vanno e quindi vuol dire che l’iniziazione non c’è stata. Dobbiamo ripensare le proposte all’interno delle collaborazioni pastorali che tengano conto della necessità di accompagnamenti personali alla riscoperta del Vangelo per chi lo ha ricevuto ma non lo ha mai aperto e alla scoperta per chi non lo ha ancora mai ricevuto. Quindi il grande lavoro di questi anni sarà quello di prendere coscienza che la realtà è strutturalmente cambiata e cominciare a ripensare anche attraverso sperimentazioni dei nuovi percorsi, proposte, prassi sulle quali riflettere»

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