Una storia dalla Caritas di Padova. Il pronto intervento sociale non stacca mai la spina

Chi opera nel sociale lo sa: il lavoro spesso è “fuori orario”, perché le difficoltà e i drammi delle persone non viaggiano sui binari del lavoro d’ufficio. Alla Caritas lo sanno bene e, quando l’emergenza c’è, si risponde subito

Una storia dalla Caritas di Padova. Il pronto intervento sociale non stacca mai la spina

Quella che segue, una storia “fuori orario”, non è molto diversa da tante altre storie che la Caritas diocesana di Padova può raccontare. Storie che vedono protagoniste le persone afflitte da povertà e da solitudini e quelle che hanno riconosciuto la ricchezza che c’è nello stare accanto a chi è in difficoltà e nel percorrere, con loro, un tratto di strada, breve o lungo che sia. Ma questa storia, a differenza di tante altre, racconta la necessità per chi opera nel sociale anche al di fuori delle cosiddette “ore di ufficio”. Esattamente come ci si rivolge al medico di famiglia a orari prestabiliti, ma in caso di emergenza sanitaria si corre al pronto soccorso, così alcune forme di sostegno sociale hanno bisogno di una modalità che sappia scattare come pronto intervento. «Era sabato mattina, in piena estate – racconta Sara Ferrari di Caritas Padova, tra le protagoniste di questa storia – ancora addormentata ho ricevuto un messaggio dal direttore Lorenzo Rampon. Mi ha chiesto se potevo lavorare un paio d’ore. Credevo fosse una riunione on line, invece…». Invece il “lavoro” aveva gli occhi e le gambe di una famiglia romena, con tre bambini piccoli, che da qualche giorno si trovavano in mezzo a una strada. «Due signore volontarie – racconta Ferrari – si erano attivate con borse della spesa, acqua e giochi per bambini, segnalando la situazione alla Caritas».

Il primo passo è stato il contatto telefonico con una delle volontarie, una dottoressa che ha spiegato a Sara Ferrari come la notte precedente la mamma dei bambini fosse sparita nel nulla, lasciando i bambini al padre, M. (così lo chiameremo), che si stava in quel momento recando dai carabinieri in Prato della Valle per denunciarne la scomparsa.

Sara Ferrari allora contatta al telefono M. Ci si capisce in spagnolo: la famiglia rientrava dalla Spagna, ma per alcuni motivi non meglio chiariti si è dovuta fermare a Padova, dove poi la madre è scomparsa. Dopo il contatto Sara Ferrari, accompagnata dal marito Giovanni che padroneggia la lingua spagnola, è arrivata alla caserma di Prato della Valle, dove hanno fatto entrare solo Giovanni, che avrebbe aiutato M. con la denuncia. Dopo due ore è potuta entrare anche Sara, per fare compagnia in sala d’attesa ai bambini: «Erano tre: una bambina di 11 anni, uno di tre e uno di uno. Non ci capivamo molto, ma abbiamo atteso insieme il papà e Giovanni per circa mezz’ora. Erano sporchissimi, si vedeva che erano da giorni in strada, stanchi e spaventati». All’improvviso la buona notizia: la mamma era stata ritrovata, e ora era al pronto soccorso di Padova. Qui, i carabinieri hanno chiesto a Sara e Giovanni di accompagnare la famiglia e di aiutarla con le pratiche. È a questo punto che Sara ha potuto ricostruire la vicenda: «Giovanni mi ha spiegato che M. e la moglie hanno circa 28 anni: lui è disoccupato e lei è in cura per problemi psichiatrici. Sono andati a trovare dei parenti in Spagna, ma durante la vacanza si sono trovati senza medicine per E. che da qualche mese soffre di depressione, manie persecutorie e paranoia e, non potendo avere i farmaci in Spagna, hanno deciso di rientrare in patria, in Romania. Sembra che la situazione sia precipitata all’altezza di Padova, tra urla e allucinazioni, e che M. abbia cercato qualche farmacia ma, essendo medicinali psichiatrici e non avendo tessera sanitaria né ricetta, non siano riusciti ad acquistarli e siano così andati al pronto soccorso. Qui M., dovendo andare a trovare qualcosa da mangiare per i figli, ha perso di vista la moglie che è fuggita». Dopo una notte di angoscia, la denuncia ai carabinieri. Il sabato pomeriggio – mentre M. è al pronto soccorso con la moglie ritrovata – Sara ha cercato per una Padova afosa e deserta del cibo per i bambini e una stanza in albergo dove far passare loro la notte. Finalmente, alle 17, dal pronto soccorso sono usciti Giovanni e i due coniugi rumeni: «Lei era una ragazza molto giovane con i capelli lunghi raccolti a coda. Indossava solo il pigiama monouso dell’ospedale, non aveva scarpe ai piedi, ma solo copriscarpe fornite dall’ospedale. Era chiaramente sotto farmaci: aveva lo sguardo spento e i movimenti rallentati, ma stava bene! I bambini erano davvero contenti di vedere la mamma, lei si è attaccata subito il piccolino al seno e, tutti insieme, sono andati verso l’hotel».

Terminate le pratiche di check-in e i pagamenti, Sara e Giovanni si sono accertati delle intenzioni di M. e gli hanno fornito il necessario per l’acquisto delle medicine, tra gratitudine e commozione. L’indomani mattina, in hotel, prima della partenza, ci si è accorto del costo esorbitante delle medicine, per cui era necessario un ulteriore aiuto economico per il viaggio di rientro in auto. Ma a questo punto è arrivata la polizia: a quanto pare non era stata ancora ritirata la denuncia per la scomparsa, nonostante la segnalazione fosse arrivata dai carabinieri stessi. «Ci hanno detto che dovevamo riaccompagnare M. in caserma per ritirare la denuncia, ma noi abbiamo chiesto loro di evitargli lo stress ulteriore. Ai poliziotti è bastato accertarsi dell’identità della signora per farli partire». Sara e Giovanni sono rimasti con la famiglia fino all’ora della partenza. «Ci siamo abbracciati, felici e commossi, con la speranza che questo lungo viaggio potesse davvero concludersi al meglio, con il loro rientro a casa. M. si è commosso, era giovane, preoccupato e spaventato, ma ha trovato, per un paio di giorni, qualcuno su cui contare per uscire da una situazione davvero brutta». Dopo due giorni la telefonata: «Erano arrivati a casa e stavano tutti bene. La moglie al telefono sembrava un’altra persona, era spigliata e ciarliera. Aveva ripreso la terapia e stava meglio, raccontandoci che non si era resa conto di ciò che era successo. Per noi è stata davvero una gioia poterla sentire così. Ci siamo salutati con la promessa che, se mai dovessero trovarsi a ripassare per Padova, ci verranno a trovare».

A Padova e in altre città manca un servizio istituzionale ad hoc

Una storia a lieto fine, ma che però ha mostrato come manchi ancora qualcosa per rispondere alle emergenze. Sono due le riflessioni che Lorenzo Rampon, direttore di Caritas Padova, sviluppa a partire dall’esperienza di sostegno alla famiglia romena da parte della collega Sara Ferrari: «Prima di tutto ci si è potuti attivare grazie a una rete informale di persone. La giovane dottoressa che ha avviato la segnalazione è dell’Azione cattolica: lei ha chiamato uno dei membri della presidenza dell’Ac diocesana, che ha sua volta si è messo in contatto con me. L’altro elemento è che, sia a Padova che in tante altre città, ancora non esiste un servizio istituzionale di tipo sociale che possa rispondere a emergenze complesse come questa, un problema che mette insieme problemi di lingua, problemi di salute, problemi con minori per di più in un contesto di caldo e di solitudine». Certo, Rampon ricorda come «il numero della Caritas è a disposizione delle forze della Questura e della Prefettura», ma a queste emergenze si risponde «in modo fantasioso e informale. Non esiste in questo momento un servizio strutturato». La prontezza e la disponibilità mostrate da Sara Ferrari sono però comuni a tantissimi volontari Caritas che operano nelle parrocchie e nei centri d’ascolto vicariali. Ciò che manca, forse, sono i meccanismi in grado di attivare queste reti di solidarietà quando sia necessario, specialmente considerando quanto sia presente, anche nella nostra società, l’altra faccia della medaglia, cioè l’indifferenza: «Chissà quante persone – commenta Ferrari – sono passate vicino a quell’uomo in difficoltà e ai suoi tre bambini e hanno tirato dritto, forse per indifferenza, per paura o per poca voglia di essere coinvolti». Alcune storie, come quella del gruppo “Solidali tra noi” dell’unità pastorale dell’Arcella (di cui parleremo nelle prossime settimane, ndr), testimoniano come nei territori si stiano sperimentando dei tentativi di “Pronto soccorso sociale” che poggino su reti di solidarietà e non solo sulle spalle di pochi e selezionati “supereroi”.

Pronto soccorso sociale nell’up dell’Arcella

“Solidali tra noi” è un progetto dell’unità pastorale dell’Arcella che sta già sperimentando tentativi di “Pronto soccorso sociale” che si basa sulla solidarietà. Se ne parlerà su queste pagine nelle prossime settimane.

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