Vita consacrata, istituti secolari. Silenziose parole viventi: donne e uomini nel mondo per testimoniare il Vangelo

Istituti secolari. Ne fanno parte donne (per la maggior parte) e uomini che hanno scelto di “stare” nel mondo, come un seme, testimoniando il Vangelo con la vita

Vita consacrata, istituti secolari. Silenziose parole viventi: donne e uomini nel mondo per testimoniare il Vangelo

È una presenza che non si coglie immediatamente, una spiritualità che somiglia al seme, nascosto sotto terra, ma c’è ed è importante. «Gli istituti secolari – donne per lo più, ma anche uomini – vivono nel mondo, partecipano alla vita comune, si ritrovano per momenti di preghiera e formazione, hanno un lavoro, vivono il carisma della famiglia di appartenenza e sono impegnati in tanti ambiti, dal sociale al politico, il sanitario o sindacale – spiega don Antonio Oriente, delegato vescovile per la vita consacrata – Nascono da una domanda: come la Chiesa può essere presente nella quotidianità? Il seme è sempre una premessa e promessa di vita. Quando viene seminato un campo, l’agricoltore spera sempre che cresca qualcosa; la loro spiritualità si rifà al lievito e dentro a questa spiritualità hanno la possibilità “trasfigurare” la società: la fede ha bisogno di opere che la rendano concreta e che raggiungano le persone e la realtà. Gli istituti secolari rendono presente il mondo nella Chiesa in virtù del loro battesimo e della loro consacrazione». Una caratteristica che accomuna gli istituti è il riserbo: cioè il non dire e non mostrare agli altri che ciò che si fa lo si fa perché consacrati, ma lasciare che questo frutto si veda senza sapere la ragione. «Per spiegare il riserbo uso l’icona dei discepoli di Emmaus – racconta un membro delle Spigolatrici della Chiesa, uno degli istituti presente in Diocesi – Gesù si affianca, parla, ascolta, ridona speranza senza mai dire chi è. Arriva a celebrare con loro, a condividere un pane spezzato e alla fine non dice chi è ma si fa riconoscere dai gesti. Questo è per me il consacrato secolare che vive nel mondo. Il riserbo ci porta a essere delle silenziose parole viventi, dei silenziosi punti interrogativi». Questo non significa vivere all’ombra o nascosti e ogni istituto lo vive in maniera autonoma: chi in modo radicale, quasi come fosse un voto, chi in maniera più aperta. «Penso ci possa essere una dimensione di partecipazione alla Chiesa locale – spiega infatti un membro delle Piccole Apostole della carità – Sarebbe importante poter essere riconosciute e integrate nella vita ecclesiale come presenza attiva e come testimonianza di carità. Il nostro fondatore, il beato Luigi Monza, diceva: “Voi dovete far suscitare questa domanda: se queste persone agiscono così, mi colpiscono, perché non posso fare anch’io la stessa cosa?”. Quindi sottolineava l’importanza della testimonianza». Don Luigi, sacerdote milanese, negli anni trenta (circa) aveva visto il mondo diventare sempre più pagano e lontano da Dio ed era rimasto colpito dalla vita della prima comunità apostolica. Diceva che se gli apostoli senza particolare istruzione avevano cambiato il mondo, allora occorrono persone così che penetrino nella società moderna per riportarla a Dio. «Il nostro istituto – continua la Piccola Apostola della Carità – prevede sia la vita individuale che comunitaria: viviamo insieme, ma ciascuna di noi si pone nella propria attività come singola persona, impegnata a vivere il proprio carisma anche nel riserbo quando ritenuto necessario». La vita comunitaria è prima di tutto di formazione e crescita nella fede, nel carisma dell’istituto, nella preghiera, confronto, dialogo, sostegno reciproco, aiuto. È una dimensione fondamentale perché diventa sostegno soprattutto nel vivere la fede. Ma quale può essere dunque l’essenzialità di un secolare consacrato? «È lo stare, stare con, stare per, stare in – chiarisce la Spigolatrice della Chiesa – Ed è una grande responsabilità questa dello “stare” perché prima di tutto prevede uno sguardo molto contemplativo per la capacità di scoprire dentro alla realtà la presenza del Signore e di fondare tutto sulla preghiera e avere al centro l’eucarestia».

I tre voti

I membri degli istituti secolari vivono i tre voti in modo diverso dai religiosi. La castità è perché si sente forte e grande l’amore di Dio e per le persone. «La nostra povertà è diversa – chiarisce la Spigolatrice della Chiesa – manteniamo il diritto ad avere dei beni, li usiamo in modo limitato e attraverso un confronto con chi è nostro responsabile». Infine l’obbedienza, è la ricerca della volontà di Dio attraverso le mediazioni della chiesa e dell’istituto. «Come tutti battezzati – conclude la consacrata – siamo chiamati prima di tutto a stare nel mondo e dopo a contribuire alla crescita della nostra comunità cristiana e quando siamo nel mondo siamo Chiesa».

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