Agroalimentare da primato nel mondo. Ma i problemi nei mercati interni e per la produzione rimangono tutti

I successi internazionali del buon agroalimentare nazionale non devono davvero far dimenticare tutto il resto della situazione della complessa filiera.

Agroalimentare da primato nel mondo. Ma i problemi nei mercati interni e per la produzione rimangono tutti

Sessanta miliardi. A tanto ammonta il valore del traguardo che, molto probabilmente, sarà raggiunto dalle vendite all’estero di prodotti agroalimentari italiani. Si tratta di un bellissimo e importante risultato, che la dice lunga sulle potenzialità economiche della filiera, ma che non può far passare in secondo piano una serie notevole di difficoltà che le imprese agricole e agroalimentari comunque devono affrontare.
Coldiretti ha chiaramente spiegato la situazione. Se l’andamento della crescita sarà mantenuto, l’export agroalimentare italiano nel mondo raggiungerà i 60 miliardi nel 2022 segnando un vero e proprio record storico. Meta ancora più importante tenendo conto delle condizioni nelle quali è stata raggiunta: dalla guerra Russia-Ucraina alle bizze del clima a quelle dei mercati delle materie prime e dell’energia.
In ogni caso, il dettaglio dei risultati fa capire molte cose. La Germania, dicono ancora i coltivatori diretti, resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare in aumento a gennaio-ottobre del 13%, davanti agli Stati Uniti, in salita del 20%, mentre la Francia si pone al terzo posto ma mette a segno un tasso di crescita del 17%. Risultati positivi – precisa la Coldiretti – anche nel Regno Unito con un +18% che evidenzia come l’export tricolore si sia rivelato più forte della Brexit, dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue.
Tutto bene, quindi. Almeno sui fronti internazionali. Perché, invece, su quelli interni la situazione appare diversa. E, sempre parlando di mercati di sbocco, alla base delle difficoltà che solo una causa: l’inflazione. Tanto che, ha fatto notare ancora una volta Coldiretti, la gran parte degli italiani ha deciso di rivedere il contenuto del carrello della spesa oltre che tornare ad acquisti ben ragionati e pianificati. Da questo punto di vista, basta sapere che l’aumento dei prezzi degli alimentari è stato, in novembre, pari al 13,2%.
I risultati dell’aumento generalizzato dei prezzi si fanno sentire sulla composizione degli acquisti. Secondo l’Osservatorio ISMEA NielsenIQ sui consumi alimentari, nei primi 9 mesi dell’anno, la crescita dello scontrino si è limitata a un +4%, grazie alle strategie di risparmio messe in atto dalle famiglie. Con alcune strategie particolari come i tagli generalizzati delle quantità acquistate che oscillano dal -1% del latte fino al -31% del pesce fresco, ma anche lo spostamento delle preferenze verso i prodotti dal valore unitario più basso, il parziale abbandono del canale digitale, il maggiore orientamento verso i discount e i prodotti a marca del distributore. Sempre stando alla stessa indagine, gli alimenti verso i quali i consumatori tendono ad orientarsi sono quelli di largo consumo come pasta e uova che sono tra le poche referenze a non aver subito riduzioni delle quantità acquistate, nonostante i rincari. Tra le tipologie di famiglie acquirenti sono quelle giovani con figli molto piccoli a incontrare le maggiori difficoltà economiche e a dover introdurre strategie di risparmio volte a contenere gli aumenti di spesa e addirittura a contrarla (-13,7% rispetto al pre-Covid).
In altri termini, i successi internazionali del buon agroalimentare nazionale non devono davvero far dimenticare tutto il resto della situazione della complessa filiera della produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti. Così come le grandi disparità nei consumi tra classi sociali diverse. E il rischio-povertà per una quota importante della popolazione italiana.

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Fonte: Sir