Armenia, fede millenaria. Il console armeno a Venezia: «Il nostro popolo sa che le guerre sono il passato»

Dalla dissoluzione del Nagorno Karabakh alle strategie di Russia e Azerbaigian, la lettura geopolitica del console armeno a Venezia: «Il nostro popolo sa che le guerre sono il passato»

Armenia, fede millenaria. Il console armeno a Venezia: «Il nostro popolo sa che le guerre sono il passato»

«La Chiesa armena è sempre stata parte del popolo in tutta la nostra lunga e sofferta storia. Anche nei quasi 800 anni in cui non abbiamo avuto un governo, uno stato, la Chiesa è stata il nostro Stato». Gagik Sarucanian, console onorario d’Armenia, accoglie i suoi visitatori in un’elegante sala conferenze del Consolato alle porte di Venezia. All’esterno la bandiera nazionale sventola un poco, intrisa dell’umidità invernale. «Persino durante i 70 anni dell’Unione Sovietica e del comunismo, la nostra Chiesa è stata sempre presente. Una presenza certo silenziosa ma attiva». Un popolo che è cristiano da mezzo secolo prima di Roma ed è intimamente legato alla testimonianza dei martiri, come ricordava anche la lettera apostolica inviata da Giovanni Paolo II in occasione del 1.700° anniversario del battesimo armeno. Stretta fra Paesi più grandi e potenti, abbracciata alle sue montagne e alla sua fede, la Nazione armena ha superato guerre, occupazioni e un genocidio perpetrato dalla Turchia e mai riconosciuto. Non si può parlare delle vicende armene, dell’ultimo conflitto durato solo un giorno e che ha visto l’occupazione da parte dell’Azerbaigian dei territori a maggioranza armena del Nagorno Karabakh, prescindendo dalla fede cristiana del suo popolo. Un’eccezione storicamente legata e sostenuta dalla Russia che però da due anni è impegnata in una guerra d’invasione in Ucraina, lasciando indifeso il suo alleato nel Caucaso alle mire azere. La guerra in Europa e le sanzioni hanno spostato il baricentro della crisi altrove: la Russia oggi ha bisogno dell’Azerbaigian per esportare la propria energia sotto altre insegne, almeno così sospettano alcuni osservatori, e quindi è più propensa a lasciar correre le sue mire nazionaliste oltre forse a non avere i mezzi militari per contrastarle attivamente. E poi c’è Israele che soffia sulle braci in un’ottica anti-iraniana, altro attore importante nello scenario e storicamente vicino ai russi e agli armeni in chiave a sua volta anti-turca, sponsor dell’Azerbaigian. «Il problema è che questi governanti in generale vivono tutto in base al loro tempo – chiosa il console Gagik Sarucanian – Oggi, domani, al massimo tra un anno. Non sanno mai che la storia è lunga, è molto più lunga di loro. Ragioniamo in modo diverso noi armeni perché abbiamo una storia di millenni alle spalle. Domattina l’esercito azero avrà il carro armato più bello, ha già i droni Bayraktar turchi ma tra vent’anni non ci sarà né Erdogan, né Aliyevi. Cosa succederà allora?». C’è tutta la consapevolezza di chi porta sulle proprie spalle una storia di millenni nelle parole del diplomatico armeno e l’ottimismo di chi, nella propria vita, ha già visto crollare l’Unione Sovietica, passare le stagioni di dittatori e potenti di turno ma anche assistere all’affermarsi di un’Armenia maggiormente consapevole delle proprie potenzialità. «La nostra è un’economia molto diversificata e in espansione pur non avendo il petrolio e il gas del nostro vicino» riflette ancora Gagik Sarucanian e i numeri gli danno ragione: nel 2022 l’economia è cresciuta del 12,6 per cento, con la Russia come primo partner commerciale e con un tessuto industriale non trascurabile dove si registra anche una buona presenza dell’alta moda italiana e dell’abbigliamento di lusso. Anche questo finisce per irritare i bellicosi vicini che vedono le loro ricchezze legate a doppio filo alle esportazioni energetiche ma la gran parte della popolazione impiegata in un settore agricolo non all’avanguardia. Di grande l’Azerbaigian non ha solo le velleità di ritagliarsi un ruolo di primo piano nelle forniture energetiche all’Europa e all’Italia ma anche le ambizioni del suo leader, quell’Ilham Aliyev da vent’anni al potere e figlio di Heydar Aliyev a sua volta alla guida del Paese per un decennio. Una dinastia come non di raro si sono affermate negli stati che furono satelliti dell’Unione Sovietica e che ora puntellano la loro stessa esistenza con un mix di populismo, nazionalismo e di rivendicazioni territoriali più o meno esplicite, come l’intenzione di ricostituire una sorta di impero ottomano o di Gran Turan che nelle brame di Aliyev si spinge fino a ribattezzare il sud dell’Armenia in Azerbaigian orientale. E allora cosa farà la piccola democrazia armena, aderirà alla Nato per chiedere protezione? «È difficile, perché come abbiamo visto anche con la Georgia, queste adesioni sono richieste che lanci, ma rimangono in attesa. Può essere che l’Unione Europea ti dica di sì però storicamente, geograficamente è tutto un po’ difficile» commenta l’ambasciatore, difficile anche perché nella Nato c’è la Turchia, la stessa che ha già bussato alle porte d’Europa senza che le venisse aperto. E poi c’è la speranza che la Russia torni sui propri passi e riprenda il ruolo che ha esercitato storicamente. E quindi il Nagorno Karabak e i suoi oltre centomila profughi sono definitivamente perduti? No, non usa mezzi termini il console che pure non cede sui diritti dei connazionali ridotti ad abbandonare case, scuole e chiese che ora sono nelle mani azere: «Io sono molto positivo. Ho una visione ottimistica del futuro – conclude Gagik Sarucanian – Futuro non tra cinque anni ma tra 20- 30 anni. I ragazzi di oggi che vedono ciò che sta succedendo, eviteranno che ciò accada di nuovo. Hanno capito che le guerre sono cose del passato». (G. S.)

La resa dopo la ripresa dei combattimenti

Lo scorso 28 settembre Samvel Shahramanyan, leader de facto dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh (il cui nome ufficiale è Repubblica dell’Artsakh), ha firmato un decreto sullo scioglimento dell’entità separatista. Abitato principalmente da persone di etnia armena ma situato all’interno dell’Azerbaijan, ciò che resta dell’ex regione autonoma di epoca sovietica cesserà di esistere entro la fine dell’anno. Anche se Baku aveva assicurato di proteggere gli armeni locali che avessero scelto di restare, dopo tre decenni di conflitti e guerre, c’è stata una ripresa dei combattimenti, e la maggior parte della popolazione è andata via. Si parla di 120 abitanti, ma ad arrivare in Armenia, stando alle associazioni umanitarie, sono stati poco più di centomila.

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