Com’è cambiata la domanda di casa a causa della pandemia

Il nuovo dossier del Comune di Bologna analizza le recenti graduatorie per il “contributo affitto” e per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica in città, per capire come è cambiato il profilo di chi chiede aiuto: aumentano le famiglie in povertà assoluta, gli italiani e i non residenti, in particolare gli studenti fuori sede

Com’è cambiata la domanda di casa a causa della pandemia

Chi sono le persone che chiedono aiuto alla pubblica amministrazione sul tema casa? E come sono cambiate durante la pandemia? Il dossier “Bologna. La domanda di casa” del Comune fa un’analisi delle recenti graduatorie di richieste di aiuto per l’affitto e accesso all’edilizia residenziale pubblica in città, per capire se e come è cambiata la domanda di casa durante l’emergenza sanitaria. I risultati sono rilevanti: si riscontra un aumento dell’estrema povertà nelle famiglie che chiedono aiuto, oltre che un aumento della numerosità dei soggetti che fanno domanda.

“Oggi, per soddisfare le necessità di tutti, l’amministrazione pubblica ha bisogno di molte più risorse – commenta Marco Guerzoni, responsabile del Servizio politiche abitative del Comune di Bologna –. I dati ci dicono che c’è stato un impoverimento complessivo delle famiglie che si rivolgono al Comune. I richiedenti in stato di grave deprivazione materiale, con un Isee pari a zero, sono sostanzialmente raddoppiati: negli ultimi 5 anni sono passati dal rappresentare il 5 per cento delle istanze a circa il 9 per cento nel 2021. Parallelamente, abbiamo registrato un forte aumento di domande: nel 2021 sono state circa 10 mila, a fronte di 4 mila nel 2020. Questo dimostra il grande impatto che ha avuto l’emergenza Covid sul reddito di molte persone”.

Il dossier, che verrà presentato giovedì 24 giugno alle 17 a Palazzo d’Accursio (Sala Anziani), mostra anche come è cambiato il profilo dei soggetti che fanno domanda al Comune: l’elemento che salta più agli occhi è la diminuzione di famiglie di origine straniera, in termini relativi, rispetto a quelle autoctone. “I non autoctoni sono sempre stati sovrarappresentati nelle graduatorie, per via della loro maggior fragilità sociale ed economica – spiega Guerzoni –. Eppure, nel 2020 e nel primo trimestre del 2021 il loro numero si è assottigliato in modo significativo. Perché questo? Non abbiamo risposte certe. Il fenomeno potrebbe essere dovuto a un impoverimento più significativo della popolazione autoctona, che ha rimescolato le carte: abbiamo ricevuto domande da parte di molti italiani che non si erano mai affacciati al welfare abitativo del Comune, ad esempio tanti liberi professionisti e artigiani. Oppure, la spiegazione potrebbe essere che molti stranieri durante la pandemia sono tornati nel loro paese d’origine, anche se non abbiamo certezza di questo fenomeno”.

Altra tendenza interessante è che, per la prima volta nel 2020, al “contributo affitto” hanno potuto accedere anche i non residenti a Bologna, titolari di un contratto d’affitto. Il mercato dell’affitto cittadino è formato per la metà da soggetti non residenti a Bologna (secondo stime di Nomisma), come ad esempio lavoratori in trasferta, studenti fuori sede, ricercatori. La risposta della città è stata importante: nell’ultimo Bando per il contributo affitto, l’11 per cento delle richieste (oltre mille istanze su 9.764) arriva dall’universo della popolazione non residente, e in particolare da studenti universitari (878).

Infine, c’è la questione degli sfratti per morosità, che rappresentano un indicatore significativo del funzionamento del mercato della casa e del benessere della popolazione. Il Tribunale dà segnali positivi: le convalide di sfratto nel 2020 per tutti i comuni dell’area metropolitana sono state 740, un numero in linea con il 2019. E anche nel primo trimestre del 2021, la quota si è mantenuta sui 150: valore che, se riconfermato, lascerebbe intendere una dinamica sostanzialmente stabile. “Eppure, sappiamo bene che, con la pandemia, molte persone impattate dalla crisi economica non sono più riuscite a pagare l’affitto – commenta Guerzoni –. Se ci guardiamo indietro, i numeri relativi alla crisi del 2007-2008 mostrano che le conseguenze si sono fatte sentire alcuni anni dopo, e l’apice di convalide di sfratto è stato registrato nel 2014. Questo perché le persone, prima di arrivare ad essere sfrattate, tentano varie strade: per pagare l’affitto chiedono soldi a familiari e amici, oppure provano a mediare con il padrone di casa. Il problema non emerge subito, ma viene procrastinato per qualche anno. Quello che temiamo, quindi, è una crescita dei numeri di convalide di sfratto nei prossimi anni. Questo dato non può lasciarci tranquilli”.

Un altro elemento di preoccupazione è che, a partire da luglio 2021, avverranno tutte le esecuzioni di sfratto che erano state ordinate prima dello scoppio della pandemia, quindi legate a fatti che non riguardano l’emergenza sanitaria. “Si parla di diverse migliaia di persone che, da un giorno all’altro, si troveranno senza una casa – spiega Guerzoni –. Bisognerà capire come affrontare questa stagione e in che modo supportare queste persone: si tratta di tanta gente che di fatto esce dalle porte del mercato privato ed entra in quelle dei servizi pubblici. L’amministrazione non solo avrà il problema di trovare le risorse per affrontare questa nuova emergenza, ma c’è anche un tema di alloggiamento: non ci sono case per tutti. Per il momento si stanno elaborando una serie di misure per incentivare i proprietari a tenere in casa le persone morose, ma questo potrebbe non essere sufficiente”.

A introdurre il dossier ci sarà anche Gianluigi Bovini, responsabile dell’area Programmazione, controlli e statistica del Comune di Bologna, che racconterà in che modo il concetto di casa abbia subito per molti una trasformazione profonda, per via della pandemia. “Oltre che abitazione, la casa è diventata anche ufficio, aula, luogo di riunioni, o spazio di spettacolo culturale – afferma –. Chi aveva in precedenza condizioni abitative agiate ha potuto godere meglio di queste opportunità, mentre chi viveva in case piccole, poco confortevoli, senza un’adeguata connessione internet, ha dovuto affrontare problemi non indifferenti. In particolare, le fasce che hanno subito in modo più netto le conseguenze della pandemia sono state gli anziani e i giovani. La popolazione anziana, che ha sofferto molto per quanto riguarda le conseguenze sociali e sanitarie, anche rispetto al profilo abitativo si è trovata in difficoltà: spesso gli anziani vivono in appartamenti non adeguati, con barriere architettoniche che impediscono loro la libertà di movimento e di relazioni. In molti condomini, la mancanza di ascensore è stato un fattore determinante: oggi il bonus 110 per cento comprende la possibilità di abbattimento delle barriere architettoniche in abitazioni di persone anziane, se associato a interventi di efficientamento energetico. Anche se non è una misura risolutiva, è comunque un passo avanti”.

Per quanto riguarda la questione economica, sono i giovani ad aver pagato il prezzo più importante: i posti di lavoro persi o non attivati hanno riguardato soprattutto la popolazione giovane, che aveva una condizione già precaria, aggravata ulteriormente dalla pandemia. “Questo ha avuto ripercussioni anche sulla casa – conclude Bovini –. In tanti che si sono trovati in difficoltà nel pagare l’affitto o il mutuo, quando non avevano la fortuna di avere una famiglia alle spalle, e hanno così chiesto aiuto all’amministrazione”.

Alice Facchini

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)