Consiglio Regionale. Violenza femminile, non si indietreggi

Nel Consiglio regionale si sono messi in dubbio i requisiti previsti dall’Intesa sui Centri antiviolenza che rischierebbero la chiusura. L’assessore Lanzarin fa chiarezza

Consiglio Regionale. Violenza femminile, non si indietreggi

Oltre 6.430 contatti, circa 3.450 donne seguite in un percorso personalizzato di autonomia, quasi 400 persone ospitate in luoghi sicuri. Questi sono alcuni dei numeri presentati a fine luglio, in Quinta commissione consiliare, durante la relazione al Consiglio regionale veneto sull’attività svolta in materia di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne. «Analizzare numeri e dati – spiega Sonia Brescacin, presidente della Quinta commissione consiliare permanente e consigliere regionale dell’intergruppo Lega, Liga Veneta – è fondamentale per capire al meglio quelle che sono le esigenze della popolazione e quindi ottimizzare le risorse economiche pubbliche impiegate». Dalla relazione emerge che in Veneto la maggior parte delle vittime che si rivolgono ai centri anti violenza (Cav) sono italiane (63 per cento), con un’istruzione medio alta (55 per cento) e un’età compresa tra i 31 e i 50 anni. Donne in prevalenza coniugate e con un lavoro (51 per cento). «Invece per quanto riguarda le case rifugio – prosegue Brescacin – il 79 per cento delle donne ospitate è straniera senza occupazione e con una licenza di scuola secondaria di primo grado. La relazione descrive, anche, le violenze più frequenti: prima quella psicologica, seguita da quella fisica. Considerato che, per ogni donna, possono essere rilevate più tipologie, la violenza psicologica, cyberviolenza, stalking, economica è quella prevalente con 4.709 casi dichiarati rispetto ai 2.606 casi di violenza fisica, sessuale e molestie».

La Regione Veneto ha destinato un milione di euro per il sostegno dei percorsi di autonomia lavorativa, abitativa e sociale, elaborati dai Cav e dalle case rifugio. A questi si aggiungono quasi 2.355.000 euro di fondi statali, di cui quasi 1.627.000 euro per il finanziamento dei Cav e delle case rifugio, già operative, e i restanti 728 mila euro per specifiche linee di intervento che le Regioni potevano scegliere di finanziare in armonia con la programmazione dei singoli territori. A preoccupare il Gruppo consiliare del Partito democratico è l’Intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali, relativa ai requisiti minimi dei Cav e delle case rifugio, che entra in vigore a marzo 2024. «Sono diversi i criteri dell’Intesa che, se non dovessero essere tutti rispettati, metterebbero seriamente a rischio chiusura molti gestori – avverte Chiara Luisetto, consigliera Pd – Tra questi il requisito più critico è rappresentato dall’obbligo di dotarsi di un numero telefonico dedicato per garantire la reperibilità h24 e 7 giorni su 7. Si tratta di una previsione che metterebbe fuori gioco la stragrande maggioranza delle strutture territoriali a cui si chiede sempre di più senza però garantire le necessarie risorse». Un obbligo che preoccupa anche Margherita Zanni presidente del Centro veneto progetti donna Padova che gestisce cinque centri anti violenza, otto sportelli territoriali e cinque case rifugio e dal 1990 ha accolto oltre 11.530 donne di cui 1.127 solo nel 2022. Riflette Zanni: «Pur avendo collaborato attivamente alla stesura dell’Intesa e ritenendo fondamentali alcuni principi espressi al suo interno, come avere nello statuto da almeno cinque anni gli scopi del contrasto alla violenza, siamo preoccupati per l’obbligo di reperibilità perché potrebbe risultare ingestibile con i fondi messi a disposizione dalle Regioni visto che non basta rispondere a un telefono per salvare le donne, occorre poi attivare nell’immediato tutte le professionalità necessarie. E senza fondi tutto questo è impraticabile». Dal canto suo l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin replica: «Stiamo lavorando con determinazione, senza inutile clamore, per mantenere e semmai implementare i servizi esistenti e non certo ridurne l’attività. La rete antiviolenza è un elemento a cui non si può rinunciare. In Veneto i finanziamenti alla rete contro la violenza non sono sottostimati, pur potendo auspicare risorse sempre maggiori».

Parlamento, al via la commissione sul femminicidio

Lo scorso 26 luglio si è costituita ufficialmente la commissione parlamentare d’inchiesta sui femminicidi, nonché su ogni forma di violenza di genere che per la prima volta è bicamerale. La costituzione è avvenuta con l’elezione della presidente, la deputata Martina Semenzato (Noi moderati), mentre le vicepresidenti sono la senatrice Cecilia D’Elia (Partito democratico) e la deputata Laura Ravetto (Lega). Le segretarie sono la deputata di Alleanza verdi e sinistra Luana Zanella e la senatrice di Fratelli d’Italia Elena Leonardi. «È un punto di partenza che riguarda non solo le donne, ma soprattutto gli uomini – ha sottolineato Martina Semenzato, veneta, originaria di Spinea – Le donne devono capire che hanno istituzioni cui fare riferimento per uscire da quei meccanismi tossici che spesso, sempre di più, sfociano in atti di violenza inauditi. Le donne devono avere autonomia e indipendenza, lavorative ed economiche, ma soprattutto mentale. Per questo famiglia e scuola hanno un ruolo fondamentale. Ma va cambiato anche il valore sociale di questa figura patriarcale assunto dalla società».

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