Coronavirus. Cura Italia. Imprese: "Contro il virus così non basta"

Il governo stanza 25 miliardi ma per artigiani, commercianti, albergatori e sindacati veneti questo non può che essere un primo passo. Finita l’emergenza servirà una forte iniezione di liquidità per ripartire

Coronavirus. Cura Italia. Imprese: "Contro il virus così non basta"

Più che la diga che salverà l’economia italiana dall’emergenza Coronavirus, il decreto “Cura Italia” licenziato dal governo lunedì 16 gennaio alle categorie economiche venete appare come un salvagente lanciato a famiglie e lavoratori. La prima di una serie di misure che dovranno seguire nello scorcio rimanente del mese di marzo e soprattutto ad aprile, quando si potranno fare i conti con molti più dati in mano e soprattutto, si spera, si vedrà la luce in fondo al tunnel del contagio.

Il premier Conte e il ministro dell’economia Gualtieri in fase di presentazione delle misure adottate avevano parlato di una nuova manovra in tutto e per tutto. Sia per la portata finanziaria, 25 miliardi di euro, sia per la complessità di un articolato che va dal sostegno al sistema sanitario nazionale all’estensione della Cassa integrazione agli autonomi, fino ai congedi straordinari per i lavoratori e alla sospensione delle rate dei mutui.

Ma la parola chiave per le categorie economiche è liquidità. Per salvare ora e far ripartire poi le imprese servono soldi freschi, la benzina con cui mantenere il motore della macchina Italia acceso. Un punto di vista non certo dissimile da quello espresso dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli in una delle numerose interviste televisive di questi giorni: questo è esattamente il momento degli aiuti di stato al sistema produttivo, le ferree direttive improntate all’austerità devono inchinarsi alla gravità del momento. Uno stimolo, questo, che deve far ripensare in profondità l’architettura dell’Unione.

Per tornare all’oggi, vanno registrate le parole nettissime di Patrizio Bertin, da meno di due mesi presidente di Confcommercio Veneto: «Sono in molti gli operatori del nostro settore a sentirsi abbandonati – ammette Bertin – Noi incoraggiamo tutti a non mollare. Siamo convinti che il governo non si fermerà a questo primo intervento. Sembra evidente a tutti che ci troviamo davanti a un contesto che richiede uno sforzo ben più ampio degli attuali 25 miliardi. Se davvero il sistema Italia intende ripartire c’è bisogno che il presidente Conte faccia appello a tutta la capacità di spesa possibile, parliamo di 350-400 miliardi di euro».

L’accesso alla Cassa integrazione (per nove settimane) anche alle aziende che non superano i cinque dipendenti non è però una misura da poco per chi conduce un’attività commerciale. Come pure il credito d’imposta che permetterà di rinviare i pagamenti delle rate dei mutui.

«Certo, gli aspetti positivi non mancano – continua Bertin – ma ora serve un vero piano per le imprese da costruire con le associazioni di categoria e il sindacato per rifondare il sistema. Oggi chi vuole aprire un’attività deve fare debiti per pagare le tasse: in questa situazione non è sostenibile. Non solo. Il rinvio delle scadenze fiscali è un’altra buona notizia, ma se in questo periodo un’attività ha fatturato zero quali tasse può permettersi di pagare? Occorre fare tabula rasa di questi mesi di emergenza e ripartire».

Il settore più colpito in assoluto dalla crisi è quello turistico, che da solo rappresenta il 65 per cento del Pil regionale. Un Pil che matura con la stagione estiva, sia che si parli di mare sia che si tratti di montagna o città d’arte. Il Veneto è la prima regione italiana per presenze, ma la stagione che ha di fronte si presenta come una delle più penalizzanti di sempre. «La stagione è già persa almeno fino a tutto giugno», commenta amaro Marco Michielli, presidente di Federalberghi Veneto, che rappresenta le 3.100 strutture alberghiere presenti nella nostra regione. E dopo la lettura del decreto Cura Italia l’umore non è certo migliorato, anzi. «Siamo estremamente delusi – tuona Michielli – Nel testo si parla di turismo esclusivamente per la requisizione degli alberghi da parte della Protezione civile per le quarantene o per creare nuovi centri di assistenza sanitaria. Che noi siamo il settore con il maggior impatto mi pare evidente, ma di tutte le misure che avevamo chiesto non vediamo nulla».

La prima stilettata, Michielli la riserva all’indennizzo di 600 euro per il mese di marzo che andrà ai lavoratori stagionali del comparto rimasti a braccia incrociate. «Parliamo di 500 mila operatori in tutta Italia che stanno aspettando di capire se quest’anno porteranno a casa la pagnotta oppure no. In questo decreto ci pare di ritrovare l’orientamento di sempre a considerare gli stagionali dei lavoratori di serie B. Non si capisce perché non possano avere la dignità di tutti quanti i lavoratori e poter accedere anche loro alla Cassa integrazione».

Altro capitolo: i mutui. «Bene lo slittamento dei pagamenti – riprende Michielli – ma noi avevamo chiesto una moratoria di 18 mesi. Comprendo che qui serva una trattativa con gli istituti bancari, ma è necessario tenere conto che, se andrà bene, noi lavoreremo luglio, agosto e settembre; c’è chi non aprirà, chi lo farà con metà personale, e qualche piccolo gruppo che aprirà un albergo su tre. È chiaro che non riusciremo a fatturare quest’anno nemmeno il necessario a pagare le rate».

E poi c’è la partita degli affitti: «Un tema che da noi riguarda la metà degli operatori: ebbene, a una prima lettura del decreto, i negozianti potranno giustamente fruire della garanzia da parte dello Stato e far slittare i pagamenti, ma tutto questo per gli albergatori non sembra previsto. Torniamo alle categorie di serie A e di serie B».

Nella logica di un primo intervento, a cui poi dovranno seguirne altri, si pone anche Gianfranco Refosco, segretario regionale della Cisl. «Dobbiamo sottolineare i passi avanti fatti sul versante degli ammortizzatori sociali. A una situazione straordinaria si fa fronte con una risposta straordinaria che per la prima volta apre la Cassa integrazione anche alle piccolissime imprese oltre a offrire una copertura alle categorie non ricomprese come i lavoratori agricoli e gli stagionali, a partire da quelli del turismo, gli autonomi, tra cui i lavoratori dello spettacolo. Bene anche il blocco dei licenziamenti, che serve a traghettare un periodo che comunque non sarà indolore dal punto di vista dell’occupazione».

L’indice di Refosco è puntato semmai sulle misure a sostegno delle famiglie: «Temiamo che l’emergenza si protrarrà oltre il 4 aprile, e quindi i 15 giorni di congedo straordinario retribuiti al 50 per cento non basteranno». E si tratta di lavoratori che peraltro rischiano in molti casi di rientrare – a contagio finito – in un’impresa che ha chiuso i battenti e quindi ecco la necessità di fare di più.

Agostino Bonomo, a capo di Confartigianato Veneto, apprezza il metodo di lavoro del governo che di settimana in settimana agisce in base all’evoluzione dei fatti ed elenca le misure che rispondono alle richieste avanzate nei giorni scorsi: «La sospensione e la proroga di versamenti e adempimenti e le misure di tutela del lavoro. La sospensione, per le piccole imprese sotto i 2 milioni di ricavi, dei versamenti di ritenute, Iva, contributi Inps e premi Inail in scadenza fino al 31 marzo. Il rinvio degli adempimenti tributari scadenti entro il 31 maggio 2020. La moratoria dei mutui in essere fino al 30 settembre 2020. La copertura delle sospensioni dal lavoro con forme di deroga di cassa integrazione per tutti dipendenti, rifinanziamento Fondo centrale garanzia con la possibilità di estendere la garanzia dal 50 all’80 per cento. Stimiamo inoltre che, ad oggi, oltre 2.300 imprese artigiane abbiano fatto richiesta di ammortizzatori per quasi 10 mila dipendenti. Resta però ancora molto da fare per autonomi e imprenditori».

E che cosa vada fatto è presto detto: «A emergenza sanitaria conclusa, saranno necessari provvedimenti dedicati agli indennizzi per i danni subiti dalle imprese e a rilanciarne l’attività. E per farlo davvero abbiamo bisogno di una azione corale che dal governo e le regioni coinvolga l’Europa. Sollecitiamo inoltre la soluzione del problema della miriade di adempimenti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione: chiediamo siano tutti prorogati con una norma “ombrello”». Infine torniamo alla parola chiave: la liquidità. Salvaguardando in particolare le imprese con fatturato fino ai 50 mila euro e il merito creditizio, perché le aziende possano accedere al credito dopo la crisi senza dover pagare lo scotto di un calo nella valutazione dell’affidabilità da parte delle banche.

Paolo Gubitta. Prima dei decreti oggi serve solidarietà

«In questo momento gli operatori di turismo, commercio e distribuzione sono colpiti in pieno dall’emergenza – spiega Paolo Gubitta, docente di Organizzazione aziendale e vicedirettore del Dipartimento di scienze economiche e aziendali dell’Università di Padova – Per loro, l’impatto è stato immediato: ristorante pieno ieri, tavoli vuoti oggi. Zero risorse in ingresso, ma spese fisse confermate».

Ma accanto a tutte queste realtà ci sono le moltissime aziende lean nate negli ultimi anni. Si tratta di imprese pensate proprio per raccogliere l’ordine oggi e fornire il prodotto domani. Niente magazzino, niente eccedenze. «Sono operatori agili che però di fronte alla perdita di mercato rischiano di saltare immediatamente, anche perché facilmente sostituibili. Si salva chi ha scorte: chi ha competenze, magazzino, ma anche una riserva di relazioni che permettono di gestire l’emergenza: nel breve tempo le autorità per quanto pronte non possono arrivare».

Dunque questo è il tempo della solidarietà: «Oggi è necessario che chi ha risorse liquide le presti, siamo allo stesso livello di un sub che passa il suo bocchettone d’ossigeno al compagno che lo ha finito. Solo dopo arrivano i decreti».

E non solo: «Questa crisi rischia di generare una nuova tensione sociale tra due polarità: da una parte il lavoratore statale, garantito nei suoi introiti, dall’altra il lavoratore dipendente del privato o l’autonomo, che non sa come finirà questa vicenda e se il suo posto di lavoro ci sarà ancora. È fondamentale dare a tutti la massima copertura».

Impatto fortissimo sull’artigianato

La piccola e micro impresa è la più investita dall’impatto della crisi da Coronavirus. Una galassia formata da meccanici, idraulici, elettricisti, ma anche parrucchiere, estetiste, trasportatori. Per questo le parti sociali (sindacati e Confartigianato) il 26 febbraio scorso hanno stretto un accordo per lavoratori con risorse da fondo di solidarietà bilaterale con sussidio specifico in modo da creare ammortizzatori sociali con risorse già accantonate che danno copertura a tutti operatori fino ai 20 dipendenti. A oggi sono già 2.300 le domande arrivate per oltre 10 mila lavoratori. Una crisi che rischia di passare inosservata.

Le principali misure per famiglie e piccole imprese

Dall’entrata in vigore del decreto Cura Italia i genitori di figli fino ai 12 anni possono congedarsi dal lavoro (uno solo dei due) per 15 giorni con un’indennità del 50 per cento dello stipendio. Il limite d’età salta in caso di disabilità, mentre il congedo non è retribuito dai 12 ai 16 anni. Chi non si avvarrà del congedo potrà accedere al contributo per il baby-sitting da 600 euro. Chi già gode dei benefici della legge 104 potrà avvalersi di 24 giorni di permesso in più nei prossimi due mesi. Per le famiglie in difficoltà sono sospese le rate del mutuo sulla prima casa per i prossimi 18 mesi anche senza Isee. La misura è allargata anche ai lavoratori autonomi che autocertifichino un calo del fatturato in un trimestre dopo il 21 febbraio di almeno il 33 per cento rispetto all’ultimo trimestre del 2019. Iva e tributi sono sospesi fino al 31 maggio per le imprese più colpite.

Per i titolari di partita Iva e co.co.co indennità di 600 euro

Il decreto Cura Italia equipara l’assenza per quarantena da parte dei lavoratori alla normale malattia. Ai medici di famiglia verranno consegnati degli appositi moduli per certificare l’assenza e, in deroga alla normativa, gli oneri sono a carico dello Stato. Tutti i titolari di partita Iva e di contratti di collaborazione coordinata ricevono dall’Inps un’indennità di 600 euro.

Si tratta della principale misura di sostegno per il mantenimento di tutti i posti di lavoro. Pacchetto che complessivamente vale 10 miliardi, di cui 3,3 miliardi solo per l’estensione degli ammortizzatori sociali. Ma gli stanziamenti sono a esaurimento, non è detto che tutte le aziende riusciranno ad accedere alle misure. Per i lavoratori dipendenti fino ai 40 mila euro l’anno di reddito che a marzo abbiano lavorato in sede è in arrivo un indennizzo di 100 euro.

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