Dall’Egitto allo Yemen, l’export di armi italiane è in continua crescita (anche verso paesi in conflitto)

Il bilancio di Rete Disarmo e  Rete della Pace a 30 anni dalla legge 185 del 1990 che regola le esportazioni. Quasi 100 miliardi di introiti: il 45 per cento solo negli ultimi cinque anni. “Serve un disarmo umanitario”

Dall’Egitto allo Yemen, l’export di armi italiane è in continua crescita (anche verso paesi in conflitto)

Quasi 100 miliardi di vendite in 30 anni. E’ il bilancio dell’’export militare italiano. Un’industria in crescita, che ha aumentato il suo indotto in maniera decisa in particolare negli ultimi 5 anni, in cui ci sono stati 44 miliardi di euro di autorizzazioni, pari a quelle dei 15 anni precedenti (il 45% del totale di tre decenni). Kuwait, Qatar, Regno Unito e Germania guidano la classifica dei paesi verso cui esportiamo. Ma c’è anche l’Egitto, che nell’ultimo anno è stato il primo paese di destinazione dell’export italiano. Il flusso, che si era interrotto dopo l’omicidio di Giulio Regeni, è ripreso dal 2018. 

E’ la fotografia sull’industria bellica italiana che emerge dal report realizzato da Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace in occasione del trentesimo anniversario della Legge 185/90, che regola l’export militare (denominata “Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”). Dal 1990 ad oggi sono state autorizzate esportazioni dall’Italia per materiali d’armamento per un controvalore di 97,75 miliardi di euro a valori correnti (che diventano 109,67 miliardi di euro con il ricalcolo a valori costanti 2019). La legge fortemente voluta dai movimenti pacifisti e antimilitaristi a partire dagli anni ‘70, nel tempo “ha perso molta della propria efficacia a causa di modifiche e applicazioni non corrette”denunciano le associazioni. Ad essere disatteso è, in particolare, il divieto ad esportare armi verso Paesi in stato di conflitto armato, sotto embargo internazionale, con politiche in contrasto con l’articolo 11 della nostra Costituzione, e dove ci sono gravi violazioni dei diritti umani. 

Negli anni sono continuate le esportazioni verso aree dove c’erano conflitti efferati e sanguinosi, come l’Iran e l’Iraq, ma abbiamo venduto armi anche al Sudafrica razzista. Per chi gestisce l’export finché c’è guerra c’è speranza - sottolinea Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo -. L’Italia ripudia la guerra, ma dal 2013 la crescita è stata evidente, i cambi di governo e di colore politico non hanno influito particolarmente, gli affari sono continuati anche con i governi di centrosinistra. E’ il caso dell’Arabia Saudita e dell’Egitto. Verso quest’ultimo paese c’era stato un blocco dopo il caso Regeni, ma dal 2018 la vendita è ripresa e la linea di tendenza è in continua crescita. Le ultime commesse comprendono non solo le due fregate Fremm ma anche aerei. Nonostante la 185 sia una buona legge, ad oggi non è suffciente ad arginare le  esportazioni”.

Boom di esportazioni negli ultimi 5 anni

Secondo il rapporto il boom c’è stato negli ultimi 5 anni (2015-19): le esportazioni equivalgono al 45% dei trent'anni precedenti. Negli stessi 30 anni le consegne certificate dall’Agenzia delle Dogane si sono attestate complessivamente sulla cifra di 50 miliardi di euro, di cui ben 14 miliardi sono relativi al quinquennio 2015-2019. Gli ultimi cinque anni hanno poi accentuato la tendenza ad esportare al di fuori delle principali alleanze politico-militari dell’Italia (cioè verso Paesi non appartenenti all’UE o alla Nato): ben il 56% cioè 24,8 miliardi contro 19,2 miliardi, più della metà dell’export,  è stato autorizzato al di fuori della naturale area di azione internazionale dell’Italia. 
Un dato preoccupante - spiega il rapporto - perché le esportazioni di armamenti “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”. La situazione deriva, in particolare, dalla spinta alla vendita verso gli Stati del Medio Oriente che negli ultimi 5 anni hanno raddoppiato la loro quota media dei primi 25 arrivando a ben il 45,9% del totale delle licenze individuali (cioè poco meno di 19 miliardi di euro). “Armi in cambio di petrolio, armi in cambio di materie prime - sottolinea Giorgio Beretta -, negli ultimi anni il parlamento ha abdicato al suo ruolo, e questi sono i risultati”. Dal 2015 al 2019 i primi 20 Paesi della classifica (su un totale di circa 90 destinatari) hanno tutti ricevuto oltre 300 milioni di euro di autorizzazioni nel corso dell’ultimo lustro. In testa troviamo due Stati autoritari mediorientali come Kuwait e Qatar (per le maxi-commesse di aerei e navi) seguiti da vicino da Regno Unito e Germania (soprattutto per la cooperazione Eurofighter) e ad una distanza maggiore da Francia, Stati Uniti d’America e Spagna. Subito dietro, grazie ad una serie di copiose licenze negli anni più recenti, altri Paesi problematici come Pakistan, Egitto, Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. A completare la “Top15” troviamo Norvegia, Australia e Turkmenistan. Andando a considerare tutto il periodo dei tre decenni i primi 10 Paesi di destinazione delle armi italiane sono stati il Regno Unito (10%), con cui le cooperazioni di natura industriale sono sempre state robuste, seguito da Kuwait (8,4%), Qatar (7,1%), Germania e Stati Uniti d’America al 6,3%, Arabia Saudita (4,9%), Francia (4,3%) ed Emirati Arabi Uniti (4%). Infine troviamo la Spagna e la Turchia al 3,7%. Le prime 10 destinazioni complessivamente assommano a poco meno del 60% di trenta anni di autorizzazioni individuali.

Serve un disarmo umanitario 

“E’ necessario lavorare per un disarmo umanitario”, dice Francesco Vignarca di Rete Disarmo, cioè un disarmo che limiti l’impatto di armi sulla popolazioni civile.  “Noi siamo presenti in Yemen dal 1993 e abbiamo documentato solo nel 2019 oltre 25mila casi di violazioni di diritti umani. Ci sono intere generazioni di bambini privati del diritto all’educazione e alla cura - spiega Egizia Petroccione di Save The Children -. Con l’emergenza Covid la situazione è peggiorata e gli ospedali sono al collasso: noi abbiamo raggiunto 4 milioni di bambini in quest’ ultimo periodo ma le condizioni si sono deteriorate in maniera drammatiche. Non possiamo che chiedere al governo italiano di prolungare l’embargo per l’export di bombe, aerei e missili che vengono usate in Yemen e che scade 31 dicembre”. Riccardo Noury di Amnesty International ricorda il caso dell’Egitto e della “fornitura scandalosa di fregate mentre ci arrivano continuamente notizie di gravi violazioni dei diritti umani” sottolinea. Noury ha poi ricordato i casi dell’Algeria e del Turkmenistan. “Oggi la supremazia dell'industria bellica è in grado di determinare le scelte politiche, il potere di influenza che ha è enorme - aggiunge Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni -.  Dopo l’uccisione di Giulio Regeni, per un triennio c’è stato uno stop al flusso di vendita di armamenti, ma dal 2018 la situazione si è normalizzata e l’export verso l’Egitto è ripreso.
La vicenda delle due fregate Fremm è stata giustificata dal fatto che Fincanieri si è inserito in una commessa francese, e si è parlato di  tutela occupazionale, ma è un ricatto. Oggi il made in Italy più importante che esportiamo sono le armi.
La legge 185 è una buona legge, ma la sua applicabilità ha dei deficit”. A far discutere è anche il rifinanziamento del decreto missioni. “Per tre anni abbiamo aspettato che il Parlamento discutesse del decreto Missioni come previsto dalla legge e lo sta facendo in ritardissimo - aggiunge Vignarca -. Intanto stiamo vendendo sistemi d’arma e strumentazioni alla cosiddetta Guardia costiera libica e in più stiamo vendendo armi ai principali attori presenti in Libia: Turchia ed Egitto, che stanno su due fronti diversi”. Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace hanno inoltre sottolineato la continua perdita di trasparenza  su un tema delicato e cruciale come quello dell’export militare. Tra le richieste di miglioramento illustrate dalle due Reti la necessità inserire in tutti i documenti il codice identificativo e la data di ciascuna licenza (per poter collegare tutte le Tabelle delle migliaia di pagine della Relazione annuale al Parlamento), l’esplicitazione con liste apposite delle valutazioni sui Paesi destinatari (se sotto embargo, se con violazioni di diritti umani, se in presenza di accordo cooperazione militare).

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)