Dalla crisi della scuola la fatica di guardare avanti. Analisi sulla crisi della ripartenza della scuola a partire da una ricerca del Censis

Le precauzioni per evitare nuovi contagi di massa hanno soltanto messo in evidenza fragilità strutturali del sistema scolastico.

Dalla crisi della scuola la fatica di guardare avanti. Analisi sulla crisi della ripartenza della scuola a partire da una ricerca del Censis

La fatica a immaginare e programmare la ripresa delle attività scolastiche tra due mesi è il segnale di una società che non riesce a guardare al futuro in modo sereno, ma soprattutto la difficoltà a muoversi insieme.
Le precauzioni per evitare nuovi contagi di massa hanno soltanto messo in evidenza fragilità strutturali del sistema scolastico. Per mantenere il distanziamento sarebbero necessarie aule spaziose e areate, dove poter disporre i banchi, poi potrebbe essere indicato un numero circoscritto di studenti per classe. Questi due semplici accorgimenti potrebbero evitare di sovrapporre all’urgenza questioni che affrontano le modalità di insegnamento (scuola in presenza o scuola digitale), e aprono temi diversi.

Sarebbero stati sufficienti più spazi e più insegnanti a rendere più agevole il rientro. Ma qui è il modo della questione: il 22,8% degli edifici scolastici è nato per altri usi, il 53,8% è senza certificato di agibilità, il 28,2% è stato costruito prima del 1960, secondo i dati pubblicati in una ricerca del Censis intitolata “La scuola e i suoi esclusi”. Altro che scuola digitale e laboratori multimediali: i primi limiti provengono da una manutenzione rimandata e da lavori di ristrutturazione mai avvenuti. Sulla scuola siamo rimasti indietro di decenni. Anche il numero degli insegnanti è stato nel tempo ridotto e la piccola ripresa di nuovi inserimenti non ha riequilibrato né il numero complessivo, né ringiovanito di molto il personale: sempre il Censis evidenzia che il 59% ha superato i 50 anni, una quota che colloca l’Italia tra gli Stati Ocse con il corpo docente più anziano. Poche aule agibili rispetto al necessario, esiguo numero di insegnanti: così i due criteri per affrontare l’emergenza della riapertura sono lontani da essere affrontati e ci si arrampica sugli specchi: mascherine, plexiglass, cruscotti informatici per il controllo e così via.

Come al solito ci si arrangerà, ma le conseguenze – di cui tutti siamo responsabili – di una scuola dimenticata e abbandonata a sé stessa sono gravi. Le case che preparano i cittadini del futuro non erano ospitali, e non ci si può sempre continuare ad adattare. Almeno si potrebbe evitare di confondere le acque: la sostituzione della didattica in presenza con quella a distanza è un palliativo pedagogico. Utilizzare strumenti digitali per integrare forme di insegnamento differenti e andare verso una scuola 2.0 è un altro argomento, importante, ma diverso. Quando non ci sono le fondamenta e arriva la tempesta la casa non regge, figurarsi come potrebbe accogliere le innovazioni.
La crisi della nostra scuola rivela la nostra indisponibilità a guardare al futuro e sostenere le infrastrutture del Paese, perché investire è faticoso, richiede sacrifici e costa. Ma in questi anni nessuno ha avuto il coraggio di portare avanti scelte del genere.

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Fonte: Sir