Dazi, il vino ancora nel mirino. L’escalation delle tensioni commerciali agita i produttori

I dazi statunitensi stanno già aumentando i costi per le imprese, soffocando la crescita, alimentando l’inflazione e aumentando l’incertezza economica

Dazi, il vino ancora nel mirino. L’escalation delle tensioni commerciali agita i produttori

Il vino rischia di rimanere schiacciato dalla guerra dei dazi tra Usa ed Europa. Così, almeno, pare se quanto ipotizzato dall’Unione europea in risposta alle minacce dell’amministrazione Trump fosse davvero mezzo in pratica. Si tratterebbe, in altri termini, di una corsa al rialzo (dei dazi) che non farebbe bene a nessuno e, anzi, danneggerebbe uno dei comparti più importanti dell’economia agroalimentare del Vecchio Continente e dell’Italia in particolare. Tutto con l’aggiunta di una sorta di beffa: il Regno Unito, infatti, ha già raggiunto accordo per star fuori dai rischi di una guerra commerciale.

La situazione è complessa e in continuo mutamento. Il punto è stato fatto dall’agenzia specializzata winenews.it che spiega come oggi i dazi imposti all’Ue dagli Usa siano pari al 10% su tutte le merci che esporta, dopo il congelamento delle tariffe al 20% deciso nelle scorse settimane da parte di Donald Trump. L’Europa in questi giorni sta però giocando su più tavoli. Da una parte, continua a negoziare con gli Stati Uniti, dall’altra annuncia ricorso alla Wto (World Trade Organization) sulle tariffe reciproche, mentre ha avviato una consultazione pubblica (aperta fino al 10 giugno 2025) sulle merci provenienti dagli Stati Uniti che potrebbero essere colpite da dazi se le trattative non portassero risultati positivi. Ed è da quest’ultima ipotesi che nascono i nuovi rischi per i vini italiani. Nella lista, molto lunga, di prodotti, infatti, sono stati inclusi anche alcuni alimenti “identitari” per gli States come l’wishky, ma anche vini, oltre alle carni di manzo e suino, e alle sementi. Vini e superalcolici, dunque, che se oggetto di dazi potrebbero scatenare la reazione degli Usa innescando, appunto, una spirale al rialzo dannosissima. Da qui, il nuovo allarme dei vitivinicoltori soprattutto italiani.

“Ribadiamo la nostra assoluta contrarietà e preoccupazione rispetto all’inserimento del vino e del whiskey americano nella lista dei contro-dazi Ue”, ha tuonato nei giorni scorsi il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, che ha aggiunto: “L’export di vino europeo verso gli Usa vale quasi 5 miliardi di euro l’anno di cui 2 miliardi per l’Italia, quello proveniente da oltreoceano arriva ad appena a 318 milioni di euro: la disparità del rischio appare piuttosto eloquente”. Una visuale diversa da quella della Commissione Ue che guarda alla globalità dell’interscambio. Attualmente, dice infatti una nota di Bruxelles, “379 miliardi di euro di esportazioni dell’Ue verso gli Stati Uniti (o il 70% delle esportazioni dell’Ue verso gli Stati Uniti) sono soggetti a nuovi dazi (compresi i dazi sospesi) da quando la nuova amministrazione statunitense si è insediata. I dazi statunitensi stanno già aumentando i costi per le imprese, soffocando la crescita, alimentando l’inflazione e aumentando l’incertezza economica”. Il presidente dei vitivinicoltori italiani ha però sottolineato: “Così si rischia una ‘escalation a perdere’ che mette a repentaglio un’economia che solo in Italia vale l’1,1% di Pil e una bilancia commerciale attiva per oltre 7,5 miliardi di euro”.

Già una “escalation a perdere”, di fronte alla quale Frescobaldi chiede “buonsenso”, un atteggiamento che comporta una grande attenzione alle conseguenze di ogni mossa nel risiko scatenato da Trump in queste settimane. Un’attenzione che, a ben vedere, non vale solo per i vini ma un po’ per tutti i prodotti agroalimentari italiani ed europei. In gioco non ci sono, infatti, solo alcune etichette di grandi vini ma un equilibrio commerciale raggiunto negli anni, mercati preziosi per i nostri produttori, una domanda internazionale che non può essere buttata all’aria da un braccio di ferro.

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Fonte: Sir