Frontiere: il business in Niger, Egitto e Libia per fermare i flussi

L’impegno del nostro paese per esternalizzare il controllo dei confini è sempre più consistente. E alimenta un business spesso appannaggio di imprenditori privati. L’analisi nel report di Arci “Sicurezza e migrazione” presentato al festival Sabir

Frontiere: il business in Niger, Egitto e Libia per fermare i flussi

ROMA - Da ormai due anni tutti gli occhi sono puntati sugli arrivi via mare. “Porti chiusi” è lo slogan scelto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini per rilanciare la politica adottata dal governo per bloccare i flussi di migranti verso l’Italia. Ma quello messo in campo dal nostro paese è un impegno politico ben più consistente, fatto di ingenti investimenti, per esternalizzare il controllo delle frontiere nei paesi di origine e transito dei migranti. E quello che non vediamo è un business, spesso appannaggio di imprenditori privati, che va dalla messa a punto di sempre più sofisticati sistemi biometrici, in grado di riconoscere le persone e respingerle al confine, fino alla moltiplicazione di missioni civili e militari. Ad approfondire il tema è il report “Sicurezza e migrazione: tra interessi economici e violazione dei diritti fondamentali. Il caso di Niger Egitto e Libia”, realizzato da Sara Prestianni di Arci nazionale, e presentato oggi al Festival Sabir, in corso a Lecce.

Il documento analizza come negli ultimi anni (sia nella scorsa che nella attuale legislatura) il capitolo italiano ed europeo dei fondi sulla sicurezza sia aumentato vorticosamente ed abbia sempre più interessato la gestione delle frontiere all’interno e all’esterno dello spazio europeo: impegnate nel controllo delle frontiere dalla Libia al Niger, con il rafforzamento del ruolo dell’Agenzia Frontex nelle operazioni di rimpatrio e di meccanismi di interoperabilità dei sistemi di identificazione. “A farne le spese sono i migranti - spiega Prestianni - obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali, che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business, e di politici che sull’immaginario dell’invasione basano i loro successi elettorali”. E così da Madrid a Bruxelles, Dal Security Research Event al World Border Security Congress si moltiplicano i saloni espositivi in cui mostrare le ultime scoperte dell’industria della sicurezza, nuovo e fruttuoso settore di investimenti. 

L’obiettivo è “bloccare gli arrivi via mare collaborando con i vicini Niger, Libia e Tunisia, oltre che facilitare le espulsioni strizzando l’occhio a Tunisi e a Il Cairo - si legge nel report -. Sembra poco importante il carico umano di vite che questa politica porta con sé. Sulla istituzione dei fondi c’è totale continuità tra i due ultimi governi italiani: le due missioni militari per il controllo delle frontiere in Niger e Libia, approvate nel febbraio 2018, sono state prorogate dal Governo Lega-5Stelle, fino al rinnovo del Fondo Africa - rifinanziato con 80 milioni per il 2018/2019. Molto preoccupante è anche il progetto di competenza del Ministero dell’Interno per l’istituzione di un centro internazionale di formazione (progetto I.T.E.P.A) che prevede la formazione della Polizia di frontiera di 22 Paesi africani per contrastare l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani, in un Egitto che sta, ogni giorno di più, rafforzando il suo regime autoritario”. Arci ricorda le due missioni militari per il controllo della frontiere in Niger e Libia, approvate nel febbraio 2018 e prorogate dall’attuale esecutivo. C’è poi il fondo Africa ( rifinanziato con 80 milioni 2018-2019), in parte utilizzato per fermare i flussi di migranti. Inoltre con quasi 128 milioni di euro l’Italia risulta essere il primo contributore del Fondo fiduciario per l’Africa, che nel 2018 ha raggiunto 4,3 miliardi di euro. Ad aumentare sono anche i fondi per i rimpatri (finanziati con 5 miliardi di euro e gestiti dall’agenzia Frontex).

Tra le azioni analizzate nel report ci sono le missioni militari in Libia ma anche le copiose erogazioni al governo di Niamey per controllare i cinquemila chilometri di frontiera del paese. Soldi che arrivano direttamente dai Fondi fiduciari per l’Africa. Infine, un ruolo centrale lo gioca anche l’Egitto, partner collaborativo con l’Italia in materia di rimpatri. Gli accordi tra i due paesi non si sono mai interrotti né sono mai stati messi in discussione, nonostante l’atteggiamento poco collaborativo del governo egiziano sul caso Regeni. “L’italia nel contesto autoritario dell’Egitto di oggi e con la tensione bilaterale che ci dovrebbe essere tra i due paesi, finanzia invece la formazione sulle frontiere a Il Cairo per poliziotti di paese, dall’Eritrea al Sudan, cche violano sistematicamente i diritti umani e perseguitano i loro cittadini”, conclude Prestianni. (ec)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)