Immigrati irregolari, ancora più difficile l'accesso alle cure con il covid

Studio della Bocconi sui pazienti che si sono rivolti al Naga: in aumento chi ha infezioni respiratorie. Ma poi non accede ai tamponi. E gli ospedali che prima del covid accettavano gli irregolari, ora hanno chiuso le porte

Immigrati irregolari, ancora più difficile l'accesso alle cure con il covid

Il Covid-19 rende ancora più difficile l'accesso alle cure sanitarie per i migranti irregolari. È quanto emerge da uno studio dell'Università Bocconi sui pazienti che si sono rivolti al Naga, associazione che offre assistenza legale e sanitaria, di Milano durante il primo lockdown. Nel periodo dal 26 febbraio al 23 aprile 2020, i migranti che hanno chiesto una visita al Naga sono diminuiti del 48,4%, probabilmente a causa della limitazione alla mobilità in quel periodo e del timore di controlli da parte delle forze dell'ordine. Ma sono aumentati quelli che presentavano infezioni respiratorie acute, quindi sintomi compatibili con il Covid-19: si è passati dal 12% nel periodo pre-covid al 16% durante il lockdown, con una punta del 27% nell'ultima settimana di marzo. Nessuno di loro, da quel che risulta al Naga, ha potuto poi fare un tampone in una struttura pubblica.

“In tempi normali, i pazienti del Naga che necessitano di ulteriori cure sono indirizzati a due strutture pubbliche che ammettono immigrati senza permesso di soggiorno - si legge nello studio -, ma questa possibilità è stata limitata durante le prime due settimane del lockdown ed entrambe le strutture hanno chiuso dall'8 marzo”.

Non solo. “Le condizioni abitative degli immigrati senza permesso di soggiorno sono peggiorate durante il lockdown, con la quota di persone senza fissa dimora tra i pazienti del Naga quasi raddoppiata (dall'8,8% al 17%). Quindi, anche se il Naga ha fornito a tutti i pazienti le raccomandazioni di salute pubblica relative al Covid, le loro condizioni abitative rendono difficile l'adozione di misure come il lavaggio delle mani, il distanziamento sociale, l'autoisolamento o la quarantena. Infine, essendo privi di documenti, sono esclusi da qualsiasi programma di sostegno al reddito e potrebbero continuare a lavorare anche se malati”.

“Concedere agli immigrati senza permesso di soggiorno l'accesso ai servizi di assistenza di base è una questione sia di dignità individuale, sia di salute pubblica - commenta Carlo Devillanova, il docente della Bocconi che ha curato lo studio-, e la questione diventa particolarmente pressante in tempi di emergenza e di lockdown come quelli che stiamo vivendo”.

Dario Paladini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)