In Danimarca la fiscalità premia il lavoro

Il sistema danese ha due ripartizioni di imposte generali e locali, due grandi scaglioni del 35% fino a 77mila euro, poi 43% e affronta quindi rendite finanziarie generalmente al 27% e immobiliari dall’1 (per la gran parte del costruito) fino al 3% per il segmento di pregio. Il tutto è sulle valorizzazione da catasto ritenute inferiori a quelle di mercato. Come da noi. Infine è totale la dichiarazione precompilata (6% le correzioni) a vantaggio dei cittadini e del flusso di incassi. Nella piccola Danimarca tutto appare più facile

In Danimarca la fiscalità premia il lavoro

Quando il nuovo premier, Mario Draghi, lancia un modello fiscale “alla danese” si riferisce a un percorso di maturazione della riforma o a uno schema di prelievi replicabile in Italia? Si vedrà a breve. Intanto cerchiamo di capire come è avvenuta la riforma nel piccolo Paese Ue (meno di 6 milioni di abitanti). Era il 2008 e venne istituita una Commissione di esperti incaricata di rivisitare il sistema fiscale per non gravare sui contribuenti e mantenere un corposo stato sociale che porta poi a indicare la Danimarca come uno dei Paesi dove si vive meglio: dove le famiglie sono tutelate e felici.

Gli esperti si confrontarono con le parti sociali per arrivare a un provvedimento molto condiviso. Conteneva l’obiettivo di una riduzione del carico fiscale pari a due punti dell’allora Pil, un taglio sull’ultima aliquota marginale a fronte di un aumento della soglia di esenzione.

Si è puntato a semplificare molto e a concentrare l’attenzione, non punitiva, sui redditi medi. È probabilmente l’obiettivo del lavoro preparatorio per una revisione dell’Irpef (persone fisiche) che ha già visto audizioni nelle nostre Commissioni Finanze di Camera e Senato impegnate in un’indagine conoscitiva. Si concluderà a marzo e potrà essere una buona base di partenza. Il modello danese è da tempo in vigore e ha distribuito meglio – secondo i Governi – un’incidenza complessiva non bassa, visto che il rapporto tra gettito e Pil è pari al 46% rispetto al 40,2% medio europeo.

Si pagano quindi le tasse che servono a gestire servizi e interventi di protezione sociale adeguati alla popolazione.

Se si va nel dettaglio emerge che il sistema, che è progressivo quindi fa pagare più che proporzionalmente al fine di ridistribuire il reddito, ragiona preliminarmente sull’onere fiscale da lavoro. Dipendente e autonomo. È un 8% di contribuzione generale che va, in voci diverse, all’occupazione e al mercato del lavoro. Questa cifra va poi esclusa dall’imponibile che opera su tutto il resto. Ai lavoratori dipendenti vengono riconosciute deduzioni (in corone danesi) fino a 5mila euro, vantaggi a genitori single e figli a carico. Il sistema danese ha due ripartizioni di imposte generali e locali, due grandi scaglioni del 35% fino a 77mila euro, poi 43% e affronta quindi rendite finanziarie generalmente al 27% e immobiliari dall’1 (per la gran parte del costruito) fino al 3% per il segmento di pregio. Il tutto è sulle valorizzazione da catasto ritenute inferiori a quelle di mercato. Come da noi. Infine è totale la dichiarazione precompilata (6% le correzioni) a vantaggio dei cittadini e del flusso di incassi. Nella piccola Danimarca tutto appare più facile.

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Fonte: Sir