Ipsos, “gli italiani chiedono cooperazione. Oggi non hanno più fiducia in niente”

Più di un italiano su due, dopo oltre un anno di pandemia, prova sentimenti negativi. Il 40 per cento di chi ha riscontrato problemi di salute ha rinunciato, almeno in parte, all’assistenza medica. È quanto emerge dal rapporto “Traguardi e orizzonti della cooperazione sociale” presentato al 5° Congresso di Legacoopsociali in corso a Bologna

Ipsos, “gli italiani chiedono cooperazione. Oggi non hanno più fiducia in niente”

“Per 4 italiani su 10 l’assenza delle cooperative nel loro territorio comporterebbe un peggioramento nei livelli di servizio. Intervenendo alla seconda e ultima giornata del 5° Congresso di Legacoop sociali in corso a Bologna, Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, esordisce così. L’occasione è la presentazione della ricerca “Traguardi e orizzonti della cooperazione sociale”, un’analisi globale e nazionale del ‘mood’ dei cittadini in questa incerta fase di ripartenza.

Il 55 per cento degli italiani, dopo oltre un anno di pandemia, prova sentimenti negativi (prevale la sfiducia). Tra gli effetti sulle persone, cresce l’importanza attribuita alle cose basilari. Al momento, 9 italiani su 10 valutano positivamente il loro stato di salute, sebbene si registri un lieve peggioramento dello stato di salute rispetto a prima del Covid. Di fatto, rispetto al pre-pandemia, gli italiani sperimentano un peggioramento generale di tutti gli aspetti che incidono sullo stato di salute (dieta, peso, forma fisica, stanchezza, qualità del sonno, ansia). Ad accusare il peggioramento più profondo, le donne, i giovani e i ceti meno abbienti. Non solo: il 40 per cento di coloro che hanno riscontrato problemi di salute ha dovuto rinunciare, almeno in parte, all’assistenza medica. Impossibilità di recarsi dal medico curante e ricorso all’automedicazione i principali motivi di rinuncia. Rispetto al pre-Covid, gli italiani ritengono più difficile trovare informazioni adeguate e accedere alle cure. Aumentano, di conseguenza, la ricerca di informazioni online, i videoconsulti e l’automedicazione.

Cosa chiedono, allora, gli italiani alle imprese? Di impegnarsi per fare del mondo un posto migliore (63 per cento); di essere coscienti e attenti agli effetti delle proprie scelte (60 per cento); di portare avanti dei valori (55 per cento). Tra gli ambiti su cui si richiede di intervenire, l’attenzione alla salute delle persone e al cambiamento climatico. Per i tre quarti degli italiani c’è bisogno di imprese mutualistiche, considerate modello vincente per il bene dell’intero sistema economico. Quanto ai servizi, viene giudicata molto importante la gestione dell’invecchiamento, dunque l’investimento in assistenza domiciliare; servizi socio-sanitari; strutture per le persone non autosufficienti. L’autonomia dei singoli e il senso di comunità sono i due aspetti su cui dovrebbero focalizzarsi i servizi alla persona.

Per due terzi degli italiani è importante sentirsi parte di una comunità. Tra i bisogni espressi migliorare questa valutazione, la necessità di maggiori certezza, stabilità, sicurezza e serenità. Tra gli ambiti della vita ritenuti più incerti, la qualità della vita e il livello del proprio reddito. In senso assoluto, gli italiani avvertono soprattutto bisogno di cooperazione e condivisione. Indagando poi il mood del nostro Paese, prevalgono incertezza, ansia e attesa. Agli italiani è stato chiesto se sono d’accordo o meno con questa considerazione: “Non mi fido più di nessuno, né delle banche, né delle imprese, né degli imprenditori. Tutti, quando possono, cercano di fregarmi”. Il 64 per cento delle persone ha dichiarato di essere d’accordo. Tra le priorità individuate per il futuro, spiccano ambiente e sostenibilità; una maggiore distribuzione della ricchezza; lo stop alla precarizzazione del lavoro.

“La coesione sociale in tutto il mondo è sotto attacco – ammonisce Risso –. Quasi il doppio dei cittadini avverte un quadro di coesione sociale ‘debole’”. Tra Generazione Z, Millenial, Generazione X e Baby Boomer, la più ‘pessimista’ è la Generazione Z (i nati tra la fine degli anni ‘90 e la fine degli anni 2000) che, nel 43 per cento dei casi, definisce ‘debole’ la coesione sociale. I meno ‘pessimisti’ sono i Baby Boomers (i nati tra il 1946 e il 1964), che la definiscono ‘debole’ nel 35 per cento dei casi e ‘ondeggiante’ nel 42 per cento (per il restante 23 per cento la coesione sociale è ‘solida’). I più pessimisti sono anche coloro con un grado d’istruzione minore e un minor reddito. Guardando l’indice globale di coesione relativo al 2020, l’Italia è tra i Paesi che la reputano più debole. I più ottimisti – coloro che giudicano ‘solida’ la coesione sociale – sono i cinesi.

Ma quali sono le tensioni globali che spaventano di più? Al primo posto (indicata dal 74 per cento del campione) la divisione tra ricchi e poveri. Dietro, il sostegno a partiti politici differenti (69 per cento); le classi sociali; il divario tra immigrati e nativi; la distanza tra le persone più progressiste e quelle più conservatrici; le diverse etnie; l’élite metropolitana e i lavoratori ordinari; le religioni differenti; l’essere uomo o donna; chi ha una formazione universitaria e chi no; giovani e anziani; chi vive in città e chi no. In generale, nel settembre del 2021 il 31 per cento di cittadini a livello globale si dichiarava preoccupato. Ma quali sono i cittadini più preoccupati? I più preoccupati in assoluto sono i sudafricani (65 per cento); subito dietro gli italiani (52 per cento). Rimanendo in Italia, il nostro Paese è tra i 4 più preoccupati al mondo per le disuguaglianze di genere: davanti a tutti c’è il Messico; poi Turchia e Spagna; Sud Africa e India; Italia e Cile. Dopo l’Italia, i Paesi europei più preoccupati a questo proposito sono: Francia e Polonia; Gran Bretagna, Belgio e Svezia; Germania e Ungheria.

Il rapporto si sposta poi a un’analisi del sistema capitalistico. La domanda posta è: qual è, secondo lei, la causa della situazione attuale del sistema capitalistico? Per il 43 per cento del campione considerato è la ricchezza concentrata nelle mani di pochi. Tra le altre ‘cause’, il mercato organizzato dai possessori di grandi ricchezze con obiettivo di arricchirsi (32 per cento); la corruzione e le mafie (25 per cento). Entrando nel dettaglio e concentrandosi sull’Italia, si nota come le generazioni siano spaccate sulla causa principale della crisi del capitalismo in atto: per il 47 per cento della fascia d’età 31-50 anni è l’accentramento della ricchezza, causa riconosciuta anche dal 56 per cento degli abitanti dell’Italia del Nord Est; per il 39 per cento degli under 30 la causa principale è il mercato organizzato dai più ricchi; per il 31 per cento degli over 50 – ma anche per quasi il 30 per cento degli abitanti del Nord Ovest e del Centro Sud, come per il 29 per cento del ceto popolare – le causa sono la corruzione e le mafie. Per il 60 per cento del totale degli intervistati è importante riformare il capitalismo, e per il 32 per cento è importante riformare il capitalismo ma in una direzione meno sottomessa alle logiche di profitto.

Sempre soffermandosi sui dati relativi all’Italia, tra i problemi più riscontrati nella società di oggi ci sono la precarietà lavorativa; l’individualismo; la mancanza di merito; la ricerca esasperata del profitto; il volere subito tutto; i troppi immigrati. Tra i fattori di divisione considerati più pericolosi, il rapporto tra economia e benessere umano; quello tra natura ed economia; quello tra i bisogni e l’assistenza; quello tra l’etica e i comportamenti. In riferimento alla proposta americana di tassare i ricchi, il 73 per cento degli intervistati si dice molto o abbastanza favorevole.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)