L’Afghanistan e il ruolo della cooperazione, Ciss: “Tanto lavoro, ma poche risorse”

Parla Sergio Cipolla, presidente di Cooperazione Internazionale Sud Sud onlus: “I diritti umani devono essere messi al centro. La popolazione deve essere aiutata attraverso i corridoi umanitari internazionali a cui devono partecipare tutti i paesi”

L’Afghanistan e il ruolo della cooperazione, Ciss: “Tanto lavoro, ma poche risorse”

Il dramma in termini di violazione dei diritti umani che sta vivendo la popolazione civile dell'Afghanistan dopo l'insediamento del governo talebano è sempre più forte. Per questo occorre utilizzare tutti gli strumenti internazionali a disposizione per attivare subito i corridoi umanitari e nello stesso  tempo favorire la mediazione internazionale con il governo talebano. A dirlo è Sergio Cipolla, da 40 anni impegnato come presidente del Ciss (Cooperazione Internazionale Sud  Sud) in progetti internazionali in diversi paesi del Sud del mondo.

Come si è arrivati a questa situazione così grave in Afghanistan? Purtroppo quanto è accaduto ha precise responsabilità perchè è la conseguenza di un male che prima o poi avrebbe portato ad altro male frutto di scelte ben precise. Non possiamo parlare dell'Afghanistan oggi se non pensiamo, infatti, all'Afghanistan di ieri  nel corso degli ultimi 20 anni. Credo che quello che abbia prevalso in questi anni siano stati quasi esclusivamente interessi economici dell'apparato militare americano. C'è un dato pubblico sconvolgente che ci fa capire l'entità di ciò: solo gli Stati Uniti, in 20 anni in Afghanistan, hanno speso più di 2 mila miliardi di dollari in armamenti per i militari americani e forniture all'esercito afgano alimentando la macchina da guerra. Questa cifra è maggiore di quello che si è speso per la cooperazione internazionale in aiuti a tutti i paesi in via di sviluppo nello stesso periodo. Dei due mila miliardi, non meno di 1600 sono rimasti negli Stati Uniti alle industrie degli armamenti. La cosiddetta 'missione' internazionale a cui ha partecipato negli anni anche l'Europa doveva essere una risposta alla tragedia dell'11 settembre del 2001 con la caccia ai terroristi.

Quali sono i principali problemi dell’Afghanistan?
E' uno dei paesi del mondo con il tasso di povertà più elevato. Se quei duemila miliardi di spese militari fossero stati investiti in questi anni per attività civili di aiuto alla popolazione, oggi avremmo un Afghanistan completamente nuovo. Diversamente è avvenuto, invece, soltanto un trasferimento di risorse economiche immenso all'apparato militare degli Stati Uniti. La produzione degli armamenti è sempre stata molto attiva in Nord America e si è poi completata con la questione dei contractors americani cioè privati che gestivano armi sofisticatissime, droni e l'aviazione in Afghanistan.

Perché i talebani sono riusciti a salire al potere?
Gli americani hanno consegnato il Paese ai talebani secondo i noti accordi di Doha  in cui l'ex presidente Trump fece negoziati con loro senza invitare a partecipare il governo ufficiale afgano. All'epoca, iniziarono come colloqui semiclandestini tra l'apparato talebano e il governo degli Stati Uniti per poi diventare colloqui formali  e completarsi con accordi veri e propri di cui stiamo vedendo le conseguenze. Per come sono saliti al potere i talebani, se avesse voluto, l'esercito ufficiale afghano avrebbe potuto controbattere ma  così non è stato.

Il dramma è adesso quello che sta vivendo la società civile...
Purtroppo sappiamo che tornerà quella che fu l'esperienza iniziale talebana anche se forse con forme diverse rispetto a 20 anni fa. A pagare il prezzo più alto saranno soprattutto le donne, le bambine e i bambini e tutte le frange più deboli della popolazione civile. La Sharia è affidata per gran parte alle singole interpretazioni di autorità religiose. Purtroppo ci saranno gravi passi indietro perchè verranno meno tutti i percorsi di normale partecipazione alla vita sociale e culturale delle donne che c'erano in questi anni.

L'aiuto può avvenire con i corridoi umanitari…
I diritti umani devono essere messi al centro. La popolazione deve essere aiutata attraverso i corridoi umanitari internazionali a cui devono partecipare tutti i paesi. In Afghanistan, non dobbiamo pensare soltanto a Kabul ma anche a quello che, lontano dai riflettori, sta avvenendo nelle piccole città, nei villaggi e nelle zone rurali dell'Afghanistan. Tutto questo ci pone il primo obiettivo che è, come dicono tutte le convenzioni internazionali, quello di garantire la vita nell'esercizio di tutti i diritti umani internazionali. Il Ciss fa parte dell'Associazione Ong italiane che raggruppa oltre 200 ong. Per noi la priorità assoluta è quella di mettere in salvo più persone possibili. Il primo passo è quello di fare espatriare tutto il personale locale afgano che lavorava per le ong. Già alcuni centinaia di operatrici e operatori sono riusciti ad uscire dal Paese. Stiamo lavorando, per il momento, con il Ministero degli esteri e con la struttura diplomatica afgana per iniziare ad avere qualche risultato.

Quali ong sono rimaste in Afghanistan?
Sono andati tutti via ma è invece doveroso ricordare che l'unica rimasta sul territorio è Emergency che sta mantenendo aperti i suoi presidi sanitari in varie parti del territorio. Noi, nel frattempo, dobbiamo rispondere alla convenzione internazionale di Ginevra secondo cui le persone che sono perseguitate e vedono lesi i loro diritti umani vanno accolte ed aiutate. Ci aspettiamo che dal vertice internazionale del G7 a cui prendono parte gli Stati Uniti,  emergano posizioni e decisioni significative. Chiaramente si getteranno le basi per quello che invece sarà il prossimo G20 a cui parteciperanno anche la Russia e la Cina che non hanno lasciato le sedi diplomatiche a Kabul. Queste ultime potrebbero avere un ruolo davvero centrale per l'avvio di un possibile dialogo in termini di mediazione internazionale con i talebani.

Cosa può fare la cooperazione internazionale?
Il lavoro da fare è certamente tanto e le risorse sono poche. Sicuramente, quanto più migliora il benessere concreto di un popolo tanto più diminuisce la sua propensione a sostenere posizioni estreme. Nonostante tante cose completamente diverse andassero fatte già 20 anni fa, per evitare il peggio, occorre adesso impegnarsi a tutto campo, come espressione della società civile internazionale, per vigilare sugli eventi e capire quali risposte dare in termini di accoglienza umanitaria. Successivamente, in relazione poi agli esiti che avrà la mediazione internazionale si capirà come si potrebbero sostenere delle presenze internazionali in quel Paese. Ricordiamoci, però, che l'Italia, è l'ultimo paese europeo per disponibilità di risorse dedicate alla cooperazione internazionale.   

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)