La scuola per sordi di Kabul ha riaperto, ma le ragazze non possono più andarci

Il racconto di Silvia Redigolo (Pangea onlus): “Il preside, un uomo afghano sordocieco che è un padre per i suoi studenti, è riuscito a riaprire sabato, dopo circa due settimane di sospensione. Ma i talebani avevano imposto classi non più miste. Stamattina sono tornati, per dire che le ragazze sopra i 12 anni devono restare a casa. Speriamo non tornino ancora”

La scuola per sordi di Kabul ha riaperto, ma le ragazze non possono più andarci

Una buona notizia e una cattiva. Arrivano da Kabul e ce le consegna Silvia Redigolo, responsabile comunicazione di Pangea, la onlus che lì è attiva da anni e, pur avendo evacuato tutto il suo personale nelle ultime settimane, tuttavia non ha smesso di essere operativa, al fianco soprattutto delle donne e delle persone con disabilità. La notizia buona è che “la scuola per sordi di Kabul (gestita dall'Afghanistan National Association of the Deaf e sostenuta da Pangea) ha riaperto sabato, dopo la chiusura di circa due settimane avvenuta con l'avvicinarsi e poi l'arrivo dei talebani. E ha riaperto grazie all'impegno, alla tenacia e al coraggio del preside, un uomo afghano sordocieco che è come un padre per i suoi studenti. E che smentisce, con la sua persona, lo stereotipo per cui tutti gli uomini afghani siano brutti e cattivi”. La brutta notizia, però, è che “stamattina i talebani hanno bussato alla porta della scuola e hanno detto che le ragazze sopra i 12 anni non potranno più frequentarla. Un colpo basso e doloroso per noi, che abbiamo inserito tante ragazze anche nei corsi di formazione professionale e all'università e che ora ci troviamo a dover rinunciare a questo pezzo importantissimo del nostro lavoro”.

Anche la riapertura non era stata incondizionata: “I talebano avevano dettato l'obbligo di dividere i maschi dalle femmine: avevamo così dovuto rinunciare alle classi miste, che per noi sono un valore enorme. E abbiamo dovuto anche interrompere le attività delle calciatrici di Kabul. Ora, questo nuovo obbligo. Speriamo che non tornino nei prossimi giorni a dirci che anche le bambine tra i 3 e i 12 anni debbano rimanere a casa”. Insomma, “si naviga a vista e con grande preoccupazione, mentre qualcuno, anche tra i giornalisti, prova a raccontare questi talebani come moderati, perfino educati. Noi, tutte le libertà che predicano, proprio non le vediamo: vediamo invece come tengano sotto controllo gli operatori umanitari. Anche alcune insegnanti della nostra scuola sono dovute scappare, al loro arrivo”.

Ma torniamo alla buona notizia: la scuola è aperta e si spera che continuerà a funzionare, portando avanti “quell'attività che è preziosissima per i ragazzi e le ragazze disabili, che in Afghanistan sono i più emarginati tra gli emarginati”. La paura c'è, ma non tanta da far fermare studenti e insegnanti: “Sono tutti molto motivati: i ragazzi e le ragazze sono tornati a scuola non appena ha riaperto e forse proprio questo ha dato fastidio ai talebani: vedere che anche le ragazze entravano in classe. Anche gli insegnanti ci sono, hanno voglia di lavorare e di continuare a farlo. Conosciamo bene la loro motivazione, ne abbiamo avuto prova anche durante il lockdown, quando l'insegnante di cucito e il cuoco sono tornati a scuola, la prima per cucire le mascherine, il secondo per preparare i pasti da distribuire in cortile. Speriamo solo che adesso i talebani non tornino a dettare nuove leggi e nuovi obblighi”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)