Medicina di genere, "superiamo gli stereotipi per promuovere la salute"

L’approccio medico deve tener conto che esistono disparità di sesso e di genere nelle risposte alla malattia e nella reazione alle cure. Anche con il Covid, le donne in media sono più portatrici del virus (perché infermiere, badanti, madri, figlie), ma la letalità è più alta nell’uomo. Baggio: “Bisogna superare i gender bias per offrire cure e misure di prevenzione più efficaci”

Medicina di genere, "superiamo gli stereotipi per promuovere la salute"

Nelle risposte alla malattia e nella reazione alle cure esistono disparità di sesso e di genere. E allora è urgente capire che l’approccio medico su uomo e donna deve essere diverso a seconda di chi si ha di fronte. È il principio che muove la medicina di genere, che da trent’anni cerca di sensibilizzare i professionisti della salute a fare attenzione alle differenze ed evitare i cosiddetti gender bias, gli stereotipi e le distorsioni che impediscono l’avanzamento verso una pratica medica più accurata.

“La medicina di genere non deve esistere come branca a sé stante, da appaltare a specialiste donne, ma deve abbracciare tutte le specializzazioni della medicina, della chirurgia e dell’odontoiatria – afferma Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale su salute e medicina di genere, ospite del convegno “Uguali ma diverse, organizzato dalla Città metropolitana di Bologna oggi, mercoledì 8 settembre –. Non è una nicchia per appassionati, è una questione che deve penetrare in tutta la pratica medica: la medicina genere-specifica è un dovere scientifico, etico, morale, sociale, a livello mondiale”.

Gli esempi di come la medicina di genere porterebbe beneficio a diverse branche mediche non mancano. I casi clinici raccontati dalla dottoressa Baggio parlano da soli: una signora di una cinquantina d’anni ha un dolore addominale. Dopo diverse ore, il marito la porta in ospedale: ha un infarto in atto, ma con sintomi atipici rispetto a quelli che si manifestano di solito negli uomini. E questo perché la sintomatologia, oltre che i fattori di rischio, hanno un impatto differente nella donna, così come le pratiche efficaci per la prevenzione. Un altro caso è quello di Ada, 66 anni, che ha mal di pancia e sangue occulto nelle feci. Dopo aver fatto gli esami, le dicono che ha un cancro nel colon ascendente, ma la diagnosi arriva con grande ritardo, visto che quel tipo di tumore provoca molto tardi il sanguinamento: la medicina di genere mostra anche una necessità di rivedere le raccomandazioni e i programmi di screening e di terapia per le donne, che non sempre sono sensibilizzate rispetto all’insorgenza di alcune patologie.

Lo stesso vale, in altri ambiti, per gli uomini: Giovanni, 77 anni, si frattura il femore mentre fa un movimento giocando coi nipoti: si scopre che il signore aveva un’osteoporosi non diagnosticata, perché la densitometria ossea molto raramente si effettua sugli uomini. Eppure, il rischio di mortalità di uomo dopo la frattura del femore è di otto volte superiore rispetto a una donna. Oppure Umberto, 56 anni, imprenditore veneto che ha disturbi del sonno. Dopo alcuni mesi, inaspettatamente, si suicida: la depressione nell’uomo è tardivamente diagnosticata, se non, spesso, ignorata. Questo perché in media la donna è più depressa dell’uomo, eppure nell’uomo il suicidio è più frequente: non siamo ancora in grado di individuare parametri che aiutino a diagnosticare tempestivamente la depressione nell’uomo.

Anche con il Covid, un approccio basato sulle differenze di genere può aiutare a intervenire nella cura e nella prevenzione della diffusione del virus. Agostino e Maria sono una coppia sulla sessantina. Entrambi si contagiano: lei ha tre giorni di febbre, lui invece finisce in terapia intensiva. La loro storia è emblematica di tante altre: le donne in media sono più portatrici di virus (perché sono infermiere, badanti, madri, figlie), ma la letalità della malattia di solito è più alta nell’uomo.

“Trascurare il genere in medicina vuol dire non aver studiato a sufficienza il gender bias, gli errori e le distorsioni che i professionisti della salute fanno per via di stereotipi sessuali e di genere di cui sono portatori insani – continua Fulvia Signani, psicologa e sociologa, componente dell’Osservatorio nazionale sulla medicina di genere e co-fondatrice del Centro universitario medicina di genere –. Negli ultimi dieci anni, si sta lavorando inoltre per superare il binarismo uomo/donna e considerare anche diverse identità sessuali, di genere e orientamento sessuale. L’intersezionalità è centrale: la questione del genere va incrociata con altre caratteristiche determinanti, come l’età, l’etnia e i fattori socio economici”.

Secondo Signani, sono proprio i gender bias i punti cruciali a cui prestare attenzione. È stato studiato che, nella comunicazione medico-paziente, i professionisti della salute spesso portano avanti gli stessi stereotipi che vediamo diffusi nella nostra società: il medico uomo manifesta una superiorità professionale e ostenta sicurezza; il medico donna è empatico ed è più attento all’ascolto e all’accoglienza del paziente. “I policy makers dovrebbero emanare linee guida e raccomandazioni gender sensitive, e inserire la medicina di genere come materia nei corsi di formazione per futuri medici e per tutti i professionisti delle aziende sanitarie – conclude Signani –. Le questioni di genere devono interessare per un tema di appropriatezza clinica: per fare una diagnosi corretta, è necessario prenderle in considerazione, e mettere in pratica una diversità di approccio alla malattia e ai servizi. Solo questo permetterà una maggiore qualità delle cure a ogni paziente, considerato nella sua specificità”.

E poi c’è la questione della ricerca e dell’innovazione in ambito medico. “La maggior parte delle nostre conoscenze è basata su ricerche fatte sugli uomini, e anche gli studi sugli animali spesso sono effettuati su animali di sesso maschile – spiega Flavia Franconi, coordinatrice della commissione Equity and Health del G20 Women –. 
La conoscenza basata sul maschile viene poi applicata alle donne e alle altre identità, con risultati non sempre altrettanto efficaci. In trent’anni di medicina di genere, le cose sono poco cambiate: molto raramente il genere e il sesso viene analizzato nelle variabili delle ricerche”.

Per fare medicina di genere in modo serio, secondo Franconi, non basta infatti intervenire sul sistema sanitario: sarebbe necessario dare incentivi ai ricercatori, per inserire la questione di genere come variabile all’interno delle loro ricerche. “C’è uno scarso rigore della ricerca scientifica fatta fin qui, che non ha tenuto conto delle differenze tra uomo, donne e altre identità – conclude –. In futuro questo sarà necessario, se davvero vorremo avanzare verso una medicina più attenta alle differenze e alla specificità di ogni paziente”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)