Non è tutto oro quel che luccica. Prosecco, patrimonio dell'umanità, ma da risanare

Le colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono patrimonio dell'umanità. Luoghi unici al mondo, con il contributo determinante dell'uomo. Ma i problemi non mancano, dai pesticidi all'erosione. È il momento di affrontarli

Non è tutto oro quel che luccica. Prosecco, patrimonio dell'umanità, ma da risanare

Il passaggio è di quelli storici. Non ci sono dubbi che l’ingresso delle colline del prosecco nella lista dei siti patrimonio dell’umanità rappresenti una pietra miliare per la storia di un territorio e non solo: della regione Veneto e del Paese intero. Il 55° sito Unesco italiano sta tutto in quei 9.100 ettari (più i 9.700 di zona cuscinetto) in provincia di Treviso in cui da secoli l’uomo plasma il paesaggio per coltivare la glera, l’uva del prosecco, oggetto dei desideri di tutto il mondo. «Siamo l’unico sito vitivinicolo Unesco – ha gioito il presidente Zaia, ricordando come le Langhe piemontesi non siano state selezionate per i vini – Siamo nella stessa lista con Kilimangiaro, le cascate di Iguaçu e le Piramidi: direi che siamo in buona compagnia».

Ma che cosa rende davvero uniche al mondo queste colline ripide, pettinate dalle vigne? Anzitutto le formazioni geologiche “cordonate”, sistemi collinari che si sviluppano in direzione est-ovest tra Vittorio Veneto e Valdobbiadene, e poi, come ha spiegato il prof. Mauro Agnoletti, coordinatore del dossier scientifico per la candidatura, «i ciglioni inerbiti con cui dal 1600 si coltiva su queste colline ripidissime e il mosaico dei piccoli vigneti circondati dal bosco che ha origine dal sistema mezzadrile del medioevo e che si è mantenuto fino a oggi».

L’obiettivo del piano di gestione che verrà redatto da qui a tre mesi, per corrispondere alle raccomandazioni dell’Unesco, ha dunque l’obiettivo di tutelare per le prossime generazioni un paesaggio che non ha eguali, su cui tuttavia gravano diverse minacce, dai pesticidi all’erosione del terreno.

Per questo Luciano Fregonese, sindaco di Valdobbiadene, tiene a riprendere i toni ordinari: «Siamo a uno snodo cruciale lungo un percorso di oltre dieci anni – sottolinea – Ora si tratta di gestire questo processo, senza la frenesia di sviluppare tutto e subito e senza il pessimismo di chi vede questo riconoscimento solo come una serie di ulteriori lacci e lacciuoli». Se l’obiettivo rimane quello di tutelare gli elementi cardine del paesaggio e la cultura agricola che si è sviluppata nelle borgate, l’ingrediente imprescindibile per Fregonese è il gioco di squadra dei 15 sindaci coinvolti. «Il tavolo per il Piano intercomunale di polizia rurale che si è insediato nel 2010 è stato fondamentale per il giudizio positivo dell’Icomos (la commissione tecnica dell’Unesco, ndr). In tutti questi anni la parola chiave è stata sostenibilità, fino alla creazione del Protocollo viticolo a cui le aziende agricole aderiscono su base volontaria, aggiornato al termine dello scorso anno con il divieto di utilizzo del glifosato e di altri diserbanti chimici».

Stabilire le regole insieme significa renderle più digeribili per gli operatori del settore, che solo a Valdobbiadene sono 650. La visibilità del marchio Unesco porterà turisti in massa, garantisce la Regione, e la crescita passa tutta da qui: «Come nei dopoguerra i nostri nonni sono rimasti qui e hanno mantenuto in vita questo patrimonio dell’umanità, oggi tocca a noi inventare vie nuove per lo sviluppo, dalla ricettività ai servizi per i turisti in termini di marketing, guide, percorsi. Nessuno regala nulla, bisogna crederci tutti insieme».

I viticoltori fanno i conti con un settore in crescita e vedono nel riconoscimento l’arma giusta per differenziarsi dal prosecco “di pianura”, quello che nulla ha a che fare con l’area storica, dove nel 1873 è sorta anche la prima scuola enologica italiana, quella di Conegliano. Si tratta di aziende piccolissime, 1,3 ettari di media, e spesso frastagliate – un campo qui, due lì – il che moltiplica il lavoro, ma preserva la produzione in caso di tempesta. Basta fare un giro nella zona di San Giacomo a Bigolino, per trovare le giovani generazioni impegnate in ampliamenti delle strutture e in attesa di conoscere i confini precisi della core zone Unesco (ampia la metà della Docg). Qui in molti vendono uva alle grandi cantine (Ruggeri, Mionetto, Valdo), passate a realtà fuori provincia o ai tedeschi, «con cui – confessa un giovane viticoltore – si lavora molto meglio: consegne precise, pagamenti veloci».

Poche decine di metri più in là, una delle due sorelle che gestisce la cantina di famiglia spiega: «Una volta completato il ricovero attrezzi, pensiamo di avviare un piccolo bed and breakfast». Il turismo emozionale evocato più volta dal presidente Zaia si sta per concretizzare: stop a ogni costruzione all’interno dell’area tutelata, ma ristrutturazione di casoni sui colli e degli edifici esistenti: una vacanza a diretto contatto con i vigneti, sui pendii e lungo le mulattiere, non è nemmeno paragonabile rispetto a una camera d’albergo.

E infatti, secondo l’ufficio studi Tecnocasa, la caccia all’investimento è già partita, con prezzi che arrivano anche a mille euro al metro quadro per un rustico da ristrutturare a una decina di chilometri dal centro di Conegliano; duemila se ristrutturato. Un metro quadro di terreno nella zona del Cartizze a Valdobbiadene arriva anche a 120 euro. Da qui l’appello di Zaia: «Veneti, fatevi avanti, poi non lamentatevi se arrivano i russi».

Il richiamo alla responsabilità arriva direttamente dalla Confraternita di Valdobbiadene: «Il riconoscimento Unesco – spiega in una nota il gran maestro Loris Dall’Acqua – si riferisce al territorio e non al prodotto. Nel momento storico in cui esso gode del maggior successo possibile, ci auguriamo venga colta l’occasione di mettere ordine, di tornare all’originalità che ha reso possibile questo successo». Andando oltre «il fenomeno “prosecco”».

Il chiaro riferimento sembra quello all’annoso problema dell’utilizzo smodato dei pesticidi e della monocoltura. Il Veneto è la regione italiana con i livelli più alti di consumo di pesticidi, quasi 12 chili per ettaro contro una media italiana di 5. La conseguenza è nei dati raccolti da Il Salvagente, leader nei test di laboratorio contro le truffe ai consumatori: tra i campioni di prosecco doc raccolti, tutti, anche l’unico prodotto biologico, mostravano la presenza di almeno un pesticida, fino ad arrivare ai sette fungicidi rilevati nel peggiore dei casi. Il terrore degli attivisti del Comitato Marcia stop pesticidi è negli effetti a lungo termine: «Ci sono studi scientifici che provano la presenza di pesticidi nei feti delle mamme in gravidanza – spiegano nella loro sede di Vittorio Veneto – Ci chiediamo: che cosa succederà tra 30-40-50 anni, quando procreeranno queste generazioni?».

Dati certi sulla correlazione tra pesticidi e patologie non ce ne sono, ma la percezione è chiara: «Ogni famiglia ha un malato oncologico qui. I reparti di oncologia ed ematologia si moltiplicano negli ospedali». In tutta l’area vigono divieti di trattamenti accanto ai luoghi sensibili (scuole, asili, centri ricreativi) se non di notte o nel fine settimana. Per questo a Revine Lago, nel 2016, è nata la rete delle Mamme stop pesticidi: «Grazie alla raccolta di 850 firme – racconta la portavoce Lisa Trinca – abbiamo bloccato più volta l’impianti di nuovi vigneti, contribuendo a redigere un regolamento comunale molto restrittivo. Se non avessimo vinto questa battaglia, in molti ci saremmo trasferiti, per i nostri figli».

Da queste esperienze, nel 2017 è nata la Marcia stop pesticidi che ogni anno a maggio collega Cison di Valmarino a Follina, per terminare all’abbazia. Ad aderire ci sono anche associazioni come Wwf, Greenpeace e Legambiente e quest’anno la marcia si è tenuta in altri sette luoghi in Italia: «Occorre una riconversione dell’agricoltura nel senso dell’agroecologia e la Regione deve incentivare il passaggio al bio». Invece, come spiega il consigliere regionale dem Andrea Zanoni, «dal 2014 al 2018 il settore viticolo ha ricevuto quasi 76 milioni di euro per ristrutturare gli impianti di 6.300 aziende, per quello enologico i finanziamenti sono stati 49,5 milioni con 1.054 beneficiari», senza vincoli biologici per la produzione.

Don Remo Zambon, parroco di Bigolino, pone la salute in primo piano: «Il prosecco è l'economia del posto, rappresenta il sostentamento per molti. Speriamo che i trattamenti necessari rispettino sempre più la salute e non contaminino l'aria e la falda».
«Il riconoscimento Unesco è molto importante – spiega don Romeo Penon, parroco dell’unità pastorale di San Pietro di Barbozza, che comprende il Cartizze e le cantine più celebri – Mi auguro davvero che la custodia del creato adesso venga valorizzata». A preoccupare l’arciprete di Valdobbiadene, don Francesco Santinon, è la monocoltura: «Differenziare l’economia è fondamentale. Speriamo davvero che le istituzioni riescano a guidare questo processo che può portare una maggior ricaduta sul territorio dei benefici economici. Certo, la laboriosità e la capacità di sacrificio di questa gente oggi è patrimonio di tutti, speriamo che l’arrivo dell’Unesco porti anche sviluppi in termini culturali, sociali e spirituali».

L'ottavo sito Unesco veneto, aspettando Padova...

Sono otto i siti presenti nella regione Veneto che l’Organizzazione delle nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco) hanno iscritto nella Lista del patrimonio mondiale (World heritage list), in quanto riconosciuti e protetti come contesti di eccellenza. A Venezia e la sua laguna, all’Orto botanico di Padova, alla città di Vicenza e le ville palladiane del Veneto, alla città di Verona, alle Dolomiti, ai siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino, alle opere di difesa veneziana tra il 15° e il 17° secolo, si aggiungono ora le colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. E la 44a sessione del World heritage commetee che si riunirà a Fuzhou, in Cina, nel luglio 2020, dovrà valutare se anche Padova urbs picta, scrigno della pittura trecentesca, potrà entrare nel novero dei siti patrimonio dell’umanità che oggi sono 1.121 in 167 Paesi, di cui 55 in Italia.

La Docg: adesso differenziamoci dal prosecco di pianura

Nei 15 comuni che compongono l’area Docg, dove si produce il prosecco superiore di Conegliano e Valdobbiadene, ogni anno vengono confezionate 91 milioni di bottiglie di bollicine, in gran parte destinate all’esportazione. Sono 180 le aziende associate al consorzio, 3.300 le famiglie impegnate nella coltivazione della glera, 5.500 gli operatori direttamente occupati.

Per il presidente Innocente Nardi il riconoscimento Unesco mette al centro anzitutto il patrimonio culturale dell’area, un bene che «oggi viene tutelato per le generazioni future». Non c’è nessuna volontà di speculare da parte dei produttori, assicura Nardi, anzi «Il futuro per l’Italia passa proprio dal paesaggio, che comprende anche valori altri rispetto a quello economico». Ciò che conta, conclude il presidente, è comunque differenziare i territori: un contro è la zona storica del prosecco, un conto è la pianura.

Ogni bottiglia erode potenzialmente 3,3 chili di suolo

Non solo pesticidi. Secondo l’Università di Padova, le colline del prosecco hanno un altro nemico con cui fare i conti: l’erosione del territorio. Secondo una ricerca prodotta da tre dipartimenti dell’ateneo patavino (Dicea, Geoscienze e Dissgea) nella zona di produzione del prosecco superiore docg (200 chilometri quadrati in provincia di Treviso) ogni anno 40 tonnellate di terreno sono a rischio erosione, contro le 1,5 tonnellate per ettaro all’anno che costituiscono la soglia di tolleranza in ambito europeo: circa 31 volte in più.

In estrema sintesi, per ogni bottiglia prodotta se ne vanno potenzialmente 3,3 chili di terreno. Il vero pericolo sta nell’impoverimento di risorse da parte del suolo, che conduce a maggiori trattamenti fertilizzanti. Secondo i ricercatori a essere in gioco è il modello stesso di agricoltura, pensando alla sostenibilità sul lungo periodo.

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