Olio di oliva, situazione delicata. La produzione in Italia tiene, nel mondo no

Gli effetti sui mercati sono importanti. Occorrono investimenti e un “piano”

Olio di oliva, situazione delicata. La produzione in Italia tiene, nel mondo no

Quest’anno la campagna di produzione di olio extravergine di oliva non può essere fotografata con un unico scatto: troppa variabilità e, soprattutto, una produzione non uniforme. Così, se nel mondo i prezzi salgono perché la produzione è scesa, in Italia i prezzi in qualche modo rimangono su livelli più contenuti perché la produzione nazionale è cresciuta notevolmente. Detto in altre parole, l’intrecciarsi dell’economia e dell’agricoltura, generano effetti diversi a seconda dei luoghi.

La produzione, dunque. Crollata nel mondo, balzata in alto in Italia (seppur con qualche distinguo). Stando ai dati diffusi qualche giorno fa da Coldiretti, Ismea  e Unaprol (la più importante associazione di produttori in Italia), quest’anno la produzione sarà pari a circa 290mila tonnellate di olio: al di sotto della media degli ultimi cinque anni, ma non certo catastrofica. SI tratta di una risultato frutto del +34% fatto registrare al Sud e della “caduta verticale” pari a -1/3 che ha sopportato il Centro-Nord. Tutto, anche per l’olivicoltura, è stato determinato dall’andamento climatico: piogge durante la fioritura, siccità e alte temperature che hanno messo a dura prova gli uliveti nazionali. Una condizione che ha colpito per davvero in modo diverso. In Puglia, per esempio, la produzione prevista è maggiore del 50% rispetto alla difficile campagna dello scorso anno e nonostante le devastazioni portate dalla Xylella (e questa regione da sola rappresenta la metà dell’intera produzione italiana).  Anche per la Calabria si attende un incremento, sebbene meno rilevante di quello pugliese mentre in Sicilia si stima una produzione sostanzialmente stabile rispetto alla già bassa produzione dello scorso anno e comunque al di sotto della media. In buona ripresa anche Abruzzo e Basilicata, mentre per le altre regioni meridionali si prospetta una produzione inferiore allo scorso anno, secondo Coldiretti/Unaprol/Ismea.

Nel mondo, invece, il crollo della produzione ha già fatto salire del 42% i prezzi dell’olio extravergine di oliva, tanto da collocare in cima alla classifica dei prodotti con i maggiori rincari al consumo. A soffiare sulle quotazioni, pare siano le state le scarse produzioni in particolare nella penisola iberica che è il primo produttore ed esportatore mondiale.

Il tema più importante su cui ragionare è però un altro. Le importazioni italiane di olio d’oliva dall’estero hanno segnato il record del secolo per un valore di oltre 2,2 miliardi di euro nel 2022 con un incremento di quasi il 20% nei primi sei mesi del 2023 secondo l’elaborazione Coldiretti su dati Istat. Una condizione che espone il nostro Paese alle fluttuazioni di mercato a livello mondiale. Con tutte le conseguenze prevedibili in termini di stabilità di mercato e di effetti sui prezzi.

La ricetta dei produttori per recuperare spazi di mercato e non essere così dipendenti dall’estero, è come sempre una sola o quasi. Occorre intervenire – viene spiegato -, per salvare un patrimonio unico del Paese con 150 milioni di piante che tutelano l’ambiente e la biodiversità ma anche un sistema economico che vale oltre 3 miliardi di euro grazie al lavoro di un sistema di 400mila imprese tra aziende agricole, frantoi e industrie di trasformazione che producono un alimento importante per la salute che non deve mancare dalle tavole degli italiani. Ma come? Coldiretti chiede alcune cose precise. Realizzare nuovi impianti olivicoli con varietà italiane, contrastare l’aumento vertiginoso dei costi di gestione delle aziende agricole e dei frantoi e realizzare nuovi sistemi di irrigazione. Servono poi opere infrastrutturali di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque. Detto in una parola, è necessario un “piano strategico nazionale dell’olivicoltura che metta al centro le aziende che sono sul mercato, producono reddito e occupazione, oltre al recupero dei tanti uliveti abbandonati che devono essere rinnovati per ridare ossigeno e speranze ai territori”. Cosa esattamente metterci dentro e come realizzarlo (e con quali soldi) è tutto ancora da vedere.

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Fonte: Sir