Ragazzi fuori famiglia, aumentano i bisogni di tipo sanitario dei minori in comunità

Secondo un sondaggio del Cncm quasi 1 ragazzo su 4 necessita di interventi sanitari oltre che sociali. Ma spesso le strutture non hanno la possibilità di rispondere a questi bisogni. Fulvi: “Oggi le comunità sono un luogo di cura”

Ragazzi fuori famiglia, aumentano i bisogni di tipo sanitario dei minori in comunità

Sono sempre più presenti problemi di salute, e di salute mentale in particolare, tra i ragazzi e le ragazze che vivono in strutture residenziali. Eppure, le comunità educative e psicologiche, menzionate anche nelle recenti linee d’indirizzo per l’affidamento familiare e l’accoglienza nei servizi residenziali, esistono solo in poche regioni come realtà effettivamente normate e dotate di standard uniformi, mentre nelle altre ci si affida al fai da te. È preoccupato Gianni Fulvi, presidente del Coordinamento nazionale delle comunità di tipo familiare per i minorenni-Cncm, che conta quasi 100 organizzazioni aderenti in tutta Italia, per un totale di 250 comunità e 1.750 ragazzi assistiti. “Oggi la maggior parte delle comunità sono socio-educative, ma molti dei ragazzi che accogliamo di fatto sono allontanati da contesti familiari fortemente deprivati. Hanno passati di violenze, abusi e fallimenti e molti di loro arrivano da situazioni di ripetuti abbandoni. Quindi, più che di educazione e di socializzazione hanno bisogno di cure e terapie”.

Da un sondaggio realizzato dal Cncm insieme al dipartimento di Psicologia dell’Università Sapienza di Roma emerge che, su un campione di 600 ragazzi provenienti da comunità distribuite in tutta Italia, quasi il 70% dei casi presi in esame presenta problemi di natura sanitaria. “Si va dalla certificazione della legge 104 in forma lieve, media o grave al disturbo dal disturbo psichico o comportamentale certificato. E in alcune comunità 100 ragazzi su 100 seguono una psicoterapia – precisa Fulvi –. Inoltre sui 600 censiti, 200 provengono da precedenti esperienze di affido e di adozione e, di questi, 30 sono già passati per almeno un’altra comunità. Insomma, dobbiamo lavorare sull’elaborazione di un trauma, che precede e non segue l’allontanamento dalla famiglia. Anzi, l’allontanamento è già una parte della cura”.

Ora la speranza è che le linee guida licenziate lo scorso febbraio e tuttora in attesa di ratifica da parte delle Regioni (link) possano uniformare le diverse situazioni regionali e mettere le comunità in grado di rispondere alle esigenze dei ragazzi, a partire proprio dall’integrazione sociosanitaria. “Perché le comunità sono un luogo di cura: come diceva una giovane cresciuta in comunità e oggi nostra consulente nascere in una famiglia disfunzionale è una sfiga, ma trovare la comunità che funziona non dovrebbe essere una questione di fortuna”, afferma Fulvi. E poi c’è la questione dei costi del personale, che non è affrontata nelle linee di indirizzo, ma che andrebbero riparametrati anche rispetto ai servizi offerti. Le linee di indirizzo affrontano, invece, il tema della “pari dignità” tra le comunità e i servizi del territorio, che inviano i ragazzi. “Non si può definire un progetto individuale senza coinvolgere gli operatori delle strutture residenziali. Siamo tutti professionisti, dobbiamo essere trattati alla pari” conclude il presidente del Cncm. I risultati completi del sondaggio verranno presentati il prossimo 18 aprile nella Capitale, all’indomani del Natale di Roma, nel corso del convegno dedicato ai ragazzi senza famiglia e intitolato “Da proietti a protetti”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)