Rifugiati, dall’Afghanistan all’Italia con “corridoi lavorativi”. E’ la prima volta in Ue

Nove beneficiari sono approdati stamattina a Fiumicino con il nuovo progetto promosso dalla Cei, attraverso Caritas Italiana, nell’ambito del progetto EU-Passworld co-finanziato dal fondo Amif. E’ la prima volta che si sperimenta il progetto. Andranno a lavorare in aziende importanti tra cui Gucci e Accenture

Rifugiati, dall’Afghanistan all’Italia con “corridoi lavorativi”. E’ la prima volta in Ue

Una laurea in ingegneria civile conseguita a Dubai, un master di perfezionamento a Edinburgo, in Scozia, poi il ritorno in Afghanistan. Fino all’estate del 2021 quella di Mohamed Hamed A. era una vita più che soddisfacente, con una carriera avviata nella progettazione edile e una famiglia serena. Poi il ritorno dei talebani a Kabul ha stravolto ogni momento della sua quotidianità, tanto da costringerlo alla fuga nel vicino Pakistan. Per quasi due anni è rimasto nascosto in una casa rifugio, vivendo nell’attesa di poter ricominciare altrove la sua vita. Oggi Mohamed è arrivato finalmente in Italia con volo di linea dal Pakistan. Fa parte del primo gruppo di 9 rifugiati afghani, giunti stamattina nel nostro paese grazie all’attivazione per la prima volta del progetto pilota dei “corridoi lavorativi”. Promossi e realizzati dalla Conferenza Episcopale Italiana, attraverso Caritas Italiana, nell’ambito del progetto EU-Passworld co-finanziato dal fondo AMIF, rientrano nella prima sperimentazione a livello europeo di questo nuovo programma. L'idea parte dalle positive esperienze dei corridoi umanitari, che hanno visto arrivare in Italia negli ultimi 3 anni oltre seimila persone.

I corridoi lavorativi sono un’esperienza pilota non solo in Italia ma anche in Europa. E’ la prima volta che nel vecchio continente si sperimenta l’ingresso di rifugiati attraverso vie legali e sicure per motivi di lavoro - spiega Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio Politiche migratorie e Protezione internazionale di Caritas Italiana -. Il nostro progetto si inserisce nel corridoio umanitario dei cittadini afghani provenienti dal Pakistan. Attraverso le interviste che abbiamo condotto per verificare la volontà di lasciare il paese perché oggetto di persecuzione, sono emersi anche dei talenti che abbiamo pensato di valorizzare. Tutti rientrano in un programma umanitario, per loro è previsto percorso ad hoc. E, dunque, durante gli incontro per verificare il loro grado di vulnerabilità, essenziale per rientrare nel corridoio umanitario, abbiamo anche valutato le condizioni per un possibile inserimento lavorativo. Mohamed, per esempio, è un giovane ingegnere che aveva raggiunto degli importanti obiettivi professionali nel suo paese e che è finito sotto minaccia con il nuovo regime dei talebani. Dai primi giorni abbiamo visto nei suoi occhi la voglia di riprendersi un pezzo di vita attraverso un impiego. Ha un potenziale enorme, non a caso, dopo i primi colloqui con un’azienda fiorentina ha avuto una richiesta di assunzione immediata e un contratto firmato ancor prima di arrivare in Italia”. 

Insieme ai nove beneficiari sono arrivate anche le loro famiglie e altri profughi afghani. Saranno ora ospitati dalle Caritas di Firenze e di Milano. Si tratta di ingegneri civili, graphic designer, dentisti e di altri professionisti, ai quali si aggiungerà a giugno un secondo gruppo di 6 beneficiari. Tra loro ci sono anche Simin, Jamila e Setara, che in Afghanistan avevano esperienza come sarte e ora andranno a lavorare da Gucci. Poya, invece, avrà un impiego alla Fondazione Accenture. Altri si divideranno tra aziende locali e nazionali. 

Come funziona il progetto

L’iniziativa si basa su una forma innovativa di collaborazione tra Caritas Italiana – che si occupa dell’individuazione di beneficiari con bisogno di Protezione Internazionale in Paesi di primo asilo nell’ambito dei protocolli già siglati di corridoi umanitari, del loro trasferimento in Italia e dell’accoglienza materiale attraverso la rete delle Caritas diocesane – e Consorzio Communitas, che garantisce il contatto con le aziende, il tutoraggio aziendale, la formazione al lavoro e l’accompagnamento costante. Proprio il contatto con l’ azienda e l’inserimento lavorativo della persona rifugiata rappresenta una delle novità rilevanti della sperimentazione. “Grazie a un’agenzia facciamo il matching tra datori lavoro e rifugiati, quando l’incontro tra domanda e offerta si rivela positivo attiviamo la macchina della preparazione per l’arrivo in Italia e il conseguente inserimento lavorativo - spiega ancora Forti -. Innanzitutto si fanno dei corsi intensivi di italiano, così una volta nel nostro paese le persone possono essere inserite in azienda, avendo già la capacità di comunicare con colleghi e  datori di lavoro. Questo sforzo serve a colmare il vuoto del mercato lavoro italiano, tanti datori di lavoro si stanno mettendo a disposizione. Ma questo nuovo canale assicura una sostenibilità nel tempo dell’accoglienza e una maggiore certezza di integrazione della persona rifugiata”.

Il programma è ancora in fase di sperimentazione, si affianca ai tradizionali corridoi umanitari e ai nuovi progetti portati avanti dall’Italia negli ultimi anni. “L’Europa e l’Italia stanno mostrando molto interesse per questo progetto pilota. Anche organismi come la Banca Mondiale sono  interessati a capire se questo nuovo percorso complementare possa avere un futuro scalabile, cioè se da numeri da progetto pilota possa diventare un programma ordinario di ingresso - aggiunge Forti -. L’elemento qualificante è quello di dare maggiori opportunità ai rifugiati e contribuire a cambiare una narrativa, che vede le persone bisognose di protezione solo come un peso e non anche come lavoratori e lavoratrici che possono dare un contributo al paese in cui vengono reinsediati”.

Accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Sono le parole di riferimento che ci ha dato papa Francesco sul nostro impegno verso migranti e rifugiati”, ricorda don Marco Pagniello, Direttore di Caritas Italiana. “Questo progetto, che speriamo possa diventare un modello su base italiana ed europea, dimostra che è possibile concretizzare quelle quattro azioni in modo tale che tutti i soggetti coinvolti ne siano protagonisti e ne traggano vantaggio: le persone rifugiate, le comunità e i soggetti pubblici e privati”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)