Ucciso in piazza a Voghera. Fiasco: “La violenza non risolve mai nulla”

“Nelle nostre città c’è un piccolo segmento di popolazione problematica per la quale ci vorrebbe un intervento professionale delicato e adattato anche del servizio di sicurezza pubblica”, sostiene l’esperto

Ucciso in piazza a Voghera. Fiasco: “La violenza non risolve mai nulla”

“Un episodio rivelatore con forti implicazioni sul piano umano, culturale, giuridico, politico”. È lapidario il giudizio di Maurizio Fiasco, sociologo specializzato, tra le altre cose, in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica, sulla morte a Voghera del 39enne di origini marocchine Youns El Boussettaoui, ucciso, nei giorni scorsi, dall’assessore alla sicurezza, Massimo Adriatici, con un colpo di pistola. Le indagini sono in corso: c’è anche un video agli atti dell’inchiesta. Nelle immagini, riprese da una telecamera di sorveglianza, si vede l’immigrato che avvicina Adriatici e, dopo una breve discussione, lo colpisce con un pugno. Nella registrazione non c’è invece il momento in cui l’assessore spara alla vittima.

La vicenda di Voghera sta animando il dibattito politico ma ha anche molto scosso l’opinione pubblica…

Innanzitutto, siamo mossi da umana pietà: l’immigrato ucciso era una persona già nota ai servizi sociali e alle associazioni del Terzo settore del territorio, per prese in carico a intermittenza, senza continuità.

Aveva problemi psichici e viveva in condizioni di marginalità, che la comunità locale e le istituzioni non riuscivano ad accogliere e gestire.

Ma nelle nostre città c’è un piccolo segmento di popolazione problematica per la quale ci vorrebbe un intervento professionale delicato e adattato anche del servizio di sicurezza pubblica. Ad esempio, a Roma fu istituito, 35 anni fa, un apposito nucleo del corpo dei vigili urbani, era il Nucleo assistenza emarginati (Nae).Il modo appropriato e civile di affrontare tale problematica è stabilire una rete di servizi e di operatori di differenti amministrazioni con l’apporto del Terzo settore e della comunità e adottare un protocollo per seguire questi casi.

Vorrei aggiungere una cosa.

Ci dica…

Partendo dal dramma di Voghera, dobbiamo anche ricordare che esiste un profilo di sofferenza psichica dell’immigrazione che sfocia talvolta in sofferenza psichiatrica vera e propria, ma che all’interno del Servizio sanitario nazionale, tranne che per pochi specialisti, non viene presa in carico. Sarebbe necessario predisporre, invece, un’offerta di cura e una presa in carico specifica, soprattutto nei centri dove è maggiore la presenza di immigrati, con un servizio di prossimità. Della sofferenza psichica all’interno del popolo degli immigrati se ne occupano solo le Caritas, la Comunità di Sant’Egidio e altre organizzazioni di questo tipo. I casi di immigrati, in povertà, con problematiche mentali severe non sono pochi e la soluzione non è togliere le panchine e mettere le fioriere per rendere impossibile il soggiorno negli anfratti delle città.

Men che meno usare la violenza.

Torniamo a Voghera.

Adesso ci si sta interrogando su come inquadrare il comportamento dell’assessore: eccesso colposo di legittima difesa, omicidio volontario o altro ancora. Il dramma e la pietà cedono il passo alle dispute giuridiche che rischiano di coprire la riflessione sul fatto. Dobbiamo dire che l’assessore è un avvocato, che è stato operatore di Polizia e che insegnava agli agenti di Polizia. Da metà degli anni Novanta ho insegnato negli istituti di Polizia per funzionari, per quadri e dirigenti e anche per agenti. Posso dire che una cura speciale viene riservata all’uso legittimo delle armi.

La ratio è che le armi non siano mai usate se non in casi di assoluta necessità e senza alcuna alternativa.

Altrimenti non avremmo la nostra Italia, ma un Paese dove regna il “far west”. Mi sorprendo quindi dell’operato dell’assessore, visto il suo curriculum. In Italia non è possibile per i cittadini girare armati e di questo dobbiamo essere fieri. Si è autorizzati a farlo solo se, in ragione del lavoro che si svolge, sussistano pericoli per l’incolumità personale o se si siano ricevute minacce. La licenza per il porto d’armi, dunque, è una deroga al principio generale che il cittadino non può girare armato. Temo che in questo caso ci sia stato un sovraccarico simbolico del ruolo di assessore che si occupa della sicurezza, il rischio è quello di trasformarsi in un “giustiziere”. In questo caso poi parliamo non della sicurezza pubblica, compito dello Stato, ma della sicurezza urbana, che rinvia alla gestione della città. Nell’enfasi del suo ruolo di assessore alla sicurezza, l’assessore probabilmente non ha tenuto conto del limite delle facoltà che l’ordinamento riconosce alla sicurezza in ambito municipale. E c’è stata una confusione “mortale”, è il caso di dirlo, tra sicurezza pubblica e la sicurezza urbana.

Questo atteggiamento non riflette anche una richiesta di maggiore sicurezza da parte dei cittadini, impauriti dalle violenze urbane?

La paura e l’insicurezza nascono dal sentire qualcosa di altro e di minaccioso, ma sono anche una risorsa di mercato, su cui si può speculare.

Chi ha una funzione istituzionale deve comunque sempre adoperarsi per rassicurare e non alimentare la paura.

Davanti a un’assenza di intervento appropriato si capisce che cresce la paura, perché rispetto a situazioni problematiche i cittadini avvertono che non ci sono procedure di trattamento, di contenimento e di risposta, cioè non ci sono le garanzie che la convivenza quotidiana venga governata con procedure appropriate a trattare il disagio, il conflitto o la minaccia.

Verso che società andiamo?

La società non si evolve tutta spontaneamente. La società è presidiata da istituzioni sociali, civili, religiose, politiche, di polizia.

Se non c’è responsabilità da parte di tutte le istituzioni, in base anche alle manipolazioni e suggestioni proposte, la società evolve verso la degenerazione: un popolo pio e tranquillo diventa razzista, un popolo accogliente diventa intollerante.

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Fonte: Sir