Violenza domestica, 1 bambino su 4 “assiste”. La pandemia? Un detonatore

Intervista a Gloria Soavi (Cismai): “In Italia mancano i dati e questo è grave. Ma da una ricerca tra i comuni, nove bambini ogni mille sono in carico ai servizi per maltrattamenti: oltre il 32% di questi, per violenza assistita”. L'appello: “Combattere la violenza a livello culturale e formare gli operatore, per evitare che la violenza si riproduca”

Violenza domestica, 1 bambino su 4 “assiste”. La pandemia? Un detonatore

La violenza è anche negli occhi di chi la guarda: si chiama “violenza assistita” ed è “la seconda forma di maltrattamento sui minori più diffusa in Italia. Eppure, pochi sanno cosa sia e che dimensioni abbia”: ne parlerà diffusamente Gloria Soavi, coordinatrice del comitato scientifico e già presidente del Cismai, in occasione del Convegno dell'Ispcan che si terrà dal 7 all'11 giugno, promosso dallo stesso Cismai, in collaborazione con l'università Bicocca di Milano.

Dottoressa Soavi, cos'è la violenza assistita? E quando è nata questa definizione?
La violenza assistita indica il fare esperienza, da parte del minore, di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori. Parliamo di vittime di violenza assistita quando ci rifermiamo a bambini/e e ragazzi/e che assistono alla violenza sulle madri, divenendo così a loro volta vittime, insieme alle madri, della violenza domestica. In Italia la prima definizione è stata presentata da Cismai nel 2003, in occasione del terzo convegno nazionale a Firenze, dedicato proprio a questo tema. La definizione è stata coniata dalla commissione scientifica del Cismai, formata da operatori che si occupano di tutela dei bambini e dagli operatori dei centri antiviolenza: è un dettaglio importante, perché dimostra come solo la condivisione dei saperi, dei linguaggi e delle esperienze permetta di affrontare in modo corretto un tema complesso come quello della violenza domestica. Violenza ancora minimizzata, se non addirittura negata nel nostro paese: è stato cruciale portare l'attenzione anche sulle vittime minorenni, sui figli delle donne maltrattate.
La definizione esplicita anche quali siano le manifestazioni e le conseguenze: tra queste, c'è sempre il maltrattamento psicologico, il che significa che questi minori sono vittime e subiscono effetti diretti sullo sviluppo della personalità, dell'emotività, dell'affettività. Negli anni Cismai ha continuato a lavorare su questo tema: nel 2005 ha redatto le prime linee d'indirizzo per gli operatori, in cui cui dava indicazioni su come affrontare queste situazioni, dalla rilevazione precoce alla protezione per bambini e donne fino alla valutazione dei danni e al trattamento per la riparazione di questi. Nel 2017 le linee d'indirizzo sono state revisionate, anche in relazione ai nuovi contesti legislativi che si stavano affacciando, tra cui la Convenzione di Istanbul del 2011 (ratificata dall'Italia nel 2014), che parla di violenza domestica e pone attenzione anche alle vittime minorenni. Nella revisione del 2017 abbiamo inserito come nuovo elemento anche i cosiddetti “orfani speciali”, ovvero bambini/e e ragazzi/e che assistono o sperimentano l'uccisione della madre da parte del padre: una condizione traumatica molto forte, che abbiamo affrontato nelle nostre linee guida, dando indicazioni operative su come aiutare questi minorenni.

Quali sono le dimensioni di questa particolare “fragilità”? Di che numeri parliamo?
L'ultimo Global Report dell'Oms 2020 fotografa la situazione di 155 paesi. Tra cui non è presente l'Italia, che non ha dati nazionali su questo tema: un fatto gravissimo, a cui occorrerà porre rimedio. Il report stima che la violenza emotiva abbia un impatto sulla vita di milioni di bambini: 1 su 4 sotto i 5 anni vive con una mamma vittima di violenze da parte del partner. Per quanto riguarda la dimensione italiana, ripeto, non abbiamo una banca dati nazionale sul maltrattamento all'infanzia: Oms e Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia ci hanno molto sollecitato a rimediare a questa mancanza. Abbiamo tuttavia due studi parziali, uno del 2015 uno del 2021, condotti da Cismai e Terre des Hommes su indicazione del Garante dell'infanzia, in cui vengono interrogati quasi 200 comuni italiani. Risulta che, su 400 mila minori in carico ai servizi sociali in 196 comuni, 77 mila siano in carico per maltrattamento: in altre parole, 9 ogni 1.000. Ed è significativo che le forme di maltrattamento più frequenti siano le patologie delle cure (40%), ovvero tutte quelle manifestazioni disfunzionali dell'essere genitori; e, al secondo posto, proprio la violenza assistita (32,4%), seguita da quella psicologica (14%), fisica (9%), sessuale (3,5%). Possiamo quindi dire che la violenza assistita è la seconda forma di maltrattamento subita dai nostri bambini e dalle nostre bambine. Parliamo quindi di numeri importanti, ancor più significativi se confrontiamo quelli del 2021 con quelli del 2015: dall'analisi dei 117 comuni che hanno partecipato a entrambe le indagini, notiamo che la violenza assistita è quasi raddoppiata, passando da 20 a 39,8%. Credo che le ragioni debbano essere ricercate principalmente nella maggior consapevolezza sul tema, da parte sia degli operatori sia delle donne stesse: aumenta da un lato la capacità dei primi a intercettare i segnali di violenza, dall'altro la capacità delle seconde di denunciare gli abusi.

Quale impatto ha avuto la pandemia sul rischio di violenza domestica e di violenza assistita in particolare?
Il periodo della pandemia ha rappresentato un forte fattore di rischio per l'aumento della violenza intrafamiliare. Il Global report dell'Oms lo definisce “la peggior situazione immaginabile per la violenza familiare”. Tutte le indicazioni di restrizioni, isolamento sociale, il mancato accesso o l'accesso limitato ai servizi da parte tanto dei genitori quanto dei figli, la mancanza di rapporti sociali hanno aumentato moltissimo le fragilità e le condizioni di rischio delle persone. Soprattutto nelle famiglie in cui già erano presenti condizioni critiche di violenza, la pandemia e le sue restrizioni hanno rappresentato un detonatore importante. Se guardiamo i dati a livello mondiale, come pure nel nostro Paese, risulta un aumento consistente del numero di telefonate verso i numeri di emergenza. In Italia, l'Istat ha prodotto dei dati per contare le chiamate d'emergenza al 1522: risulta un aumento addirittura del 79% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Durante il lockdown, in particolare, più del 64% delle richieste di aiuto sono state riferite a situazioni di violenza domestica e maltrattamento. Questa emergenza sanitaria è stata sicuramente un detonatore di tutte le situazioni di rischio e fragilità e credo che non abbiamo ancora contezza di tutte le conseguenze: l'avremo nel periodo successivo, perché le restrizioni hanno finora impedito alle persone anche di chiedere aiuto.

Cosa occorre fare, a partire da oggi, per fare in modo che i numeri non continuino a crescere?
Innanzitutto dobbiamo lavorare di più per la prevenzione della violenza a livello culturale, combattendo gli stereotipi che ancora esistono ed educando al rispetto tra uomini e donne. Poi, occorre investire sulla formazione degli operatori, perché imparino ad intercettare i segnali di disagio sui bambini e riparare i danni che violenza produce sulle vite dei più piccoli. Eviteremo così condizioni dolorose e traumatiche che, se non sono curate, condizioneranno l'età adulta, col rischio di riproporre e rivivere relazioni violente.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)