La scomparsa di Ugo Suman, poeta di un Veneto che non c'è più

La scomparsa, nei giorni scorsi, di Ugo Suman ci lascia tutti più poveri. Nelle sue poesie, nei suoi articoli vibrava una poesia autentica e una grande, antica saggezza. Dal 2009 era tornato a scrivere per la Difesa, Ugo, dopo averla frequentata a lungo in passato per poi diventare firma del Gazzettino e volto noto di Telechiara. 
I funerali mercoledì alle 10.45 nel santuario della Madonna Pellegrina, la sua parrocchia.

La scomparsa di Ugo Suman, poeta di un Veneto che non c'è più

La scomparsa, nei giorni scorsi, di Ugo Suman ci lascia tutti più poveri. Nelle sue poesie, nei suoi articoli vibrava una poesia autentica e una grande, antica saggezza. Nato a Conselve, è stato sempre il cantore di quella campagna in cui era cresciuto da ragazzo e a cui riandava con la memoria per estrarre da piccoli quadri domestici una lezione universale. Terra povera, gente povera. Ma solo all’apparenza. In realtà, nel ricordo dei bei tempi andati Ugo ci ha consegnato il ritratto di un Veneto tanto umile quanto dignitoso, radicato nei valori della famiglia, della sobrietà, di una fede scevra da intellettualismi e magari ingenua ma sincera, profonda, che plasmava la vita delle persone e delle comunità.
Era tornato a scrivere per la Difesa, Ugo, su mia richiesta. Ci ha accompagnato per diversi anni, firmando anche con le sue poesie un bellissimo calendario, prima di arrendersi al progressivo venir meno delle forze e salutare quasi in punta di piedi, con quella dignità e umiltà che contraddistingue le persone migliori. Il Veneto di Ugo non c’è più, ma se non ricordiamo chi e cosa eravamo, siamo più impreparati ad affrontare il domani. Se non ricordiamo chi e cosa eravamo, si rompe quel filo tra le generazioni di cui è intessuta la cultura più profonda di un popolo. Questo abbiamo imparato da lui, da quei piccoli gioielli che invito a rileggere sul nostro sito internet e di cui voglio qui riproporre almeno un assaggio.

Giorni fa uno del me tempo, da un Istituto par ansiani, me ga telefonà – grassie a la cortesia e a la umana pietà de na inserviente – che ga trovà el me numaro e lo ga fato telefonare. Sto amico che, dopo averme dito che quando el leze quel che scrivo de quel mondo che xe sta anche el suo, el xe contento ma ghe vien da pianzare; e alora el me domanda: «Parchè el Signore ne fa vegnere in testa sti ricordi, se no podemo più rivedare quel mondo che xe sparìo?». 

E mi, fora da ogni interpretassion (sicome me capita anche a mi); a go risposto: «Solo parchè Lo ringrassiemo ancora che el ne lo ga fato vedare». Mi me contento e spero che lo sia qualche altro. Anche mi so tornà qualche volta, e in ponta dei piè, in serca de quele case, de quela strada de tera che oltre el fosso parte par parte, gaveva ogni tanto, un palo che tegneva su i fili del telegrafo, isolà da quele che ciamavimo “le cicare” de ceramica bianca, che noialtri boce zogavimo tirandoghe i sassi; e se ne vedeva el postin che girava in bicicleta, el ne tiràva le rece.
El ga rajon l’amico: l’è un mondo sparìo, che se portemo in cuore.

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