"Le banche si ritirino dal business delle armi"

A 31 anni dall'approvazione della legge 185 sull'export di armamenti, la Campagna Banche Armate torna a chiedere al sistema bancario italiano più trasparenza. Gli istituti più coinvolti: Unicredit e Intesa San Paolo

"Le banche si ritirino dal business delle armi"

“Chiediamo alla banche di uscire dal commercio delle armi o almeno di non fornire più servizi finanziari all'export verso Paesi che non hanno aderito al Trattato internazionale sul commercio delle armi”. La richiesta arriva dalla Campagna Banche Armate, per bocca di Giorgio Beretta, in occasione del trentunesimo anniversario della legge n. 185 che nel 1990 ha introdotto norme sull'export di armamenti e sulla trasparenza di queste operazioni. I promotori della campagna (le riviste Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia) insieme a Pax Christi e alla Rete italiana pace e disarmo hanno anche organizzato questa mattina un flash mob davanti alla sede dell’azienda Rwm Italia a Ghedi, in provincia di Brescia. Azienda alla quale, nello scorso gennaio il governo Conte ha revocato sei licenze di esportazione di bombe destinate all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, nazioni coinvolte nel sanguinoso conflitto in Yemen. Una decisione richiesta da un ampio numero di associazioni della società civile, tra cui la Campagna Banche Armate e Rete italiana pace e disarmo. Segno che il pericolo che armi italiane finiscano a regimi dittatoriali e Paesi in guerra è tutt'altro che remoto. Dopo il flash mob si è tenuta una conferenza stampa delle organizzazioni per rilanciare le richieste di un sistema bancario meno compromesso con il commercio di armi e più trasparente.

Come di recente denunciato dalla Campagna, sulla base dei dati della Relazione del Governo al Parlamento sul commercio di armamenti, nel 2020 risultano transazioni bancarie attinenti ad operazioni di esportazione di armamenti per un valore complessivo di 4,2 miliardi di euro di “importi segnalati” e di 630 mila euro per “importi accessori segnalati”. La Relazione, inoltre, segnala operazioni delle banche relative a "Programmi intergovernativi" per 8,2 miliardi di euro e per "Licenze globali" del valore di 535 mila euro. Le maggiori operazioni per esportazioni di sistemi militari sono state svolte da sei gruppi bancari: UniCredit che riporta “importi segnalati” per 1,5 miliardi di euro (a cui vanno aggiunti gli “importi segnalati” da UniCredit Factoring del valore di 391.580.706 euro); IntesaSanpaolo che riporta “importi segnalati” per 653 mila euro; DeutscheBank per 578 mila euro; Sace per 244 mila euro, #BarclaysBank con 141 mila euro e #BancaPopolarediSondrio con 111 mila euro.

Un forte appello a parrocchie e diocesi è arrivato da padre Alessandro Zanotelli, missionario comboniano e direttore di Mosaico di Pace: “La chiesa deve intervenire nell'educazione delle persone nell'uso dei soldi perché siamo nel tempo dei soldi e non possiamo lasciare tutto in mano alle banche. E tolgano i loro soldi da quegli istituti di credito che ancora sono coinvolte nel commercio di armi”.

Francesco Vignarca, della Rete Italiana Pace e disarmo, ha sottolineato come la legge 195 del 1990 sia sotto attacco da parte della lobby delle armi. “È bastato che la società civile e le associazioni facessero pressione sul Governo perché si applicasse la legge 185 intervenendo sull'export di armi verso l'Arabia Saudita, perché si scatenasse la pressione della lobby delle armi contro questa legge”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)