Le parole di Nancy e di Salvatore. Vittime di due diverse tragedie invitano a essere liberi dall’odio e dagli slogan
Quanto tempo ci vorrà per scrivere la parola fine a queste tragedie, quante vittime ci saranno prima di un sobbalzo della coscienza?
“Penso alle cose belle che mi ha lasciato mia madre, all’educazione che mi ha dato e a quanto sarebbe felice oggi se mi vedesse realizzata”. È questa una risposta di Nancy Mensa: suo padre il 13 agosto 2013 uccise la madre e si uccise lasciando orfani lei, la sorellina e il fratellino. Oggi Nancy ha 27 anni, si è laureata e ha un’occupazione di prestigio.
L’intervista apparsa in questi giorni nel susseguirsi di notizie su assassinii di donne e spesso di figli mette sul tavolo dei media le sofferenze di chi, sopravvissuto, deve affrontare un’immane fatica.
Nancy Mensa avverte il dovere di far sentire la sua voce e sorprende perché in nessuna sua parola c’è un sentimento di odio: al ricordo della madre affianca quello del padre che, prima della follia, “mi voleva bene”. Lascia intendere la fatica sua e dei suoi fratelli per non cadere nel vuoto, lascia intuire la forza dell’alleanza tra di loro e il valore di un sostegno psicologico rispettoso della loro dignità.
La cronaca racconta anche di mamme che muoiono a causa del Covid al quale si espongono molto più pericolosamente di altri per la scelta di non vaccinarsi.
Antonietta Delli Santi, non vaccinata, muore uccisa dal virus due mesi dopo la morte della neonata figlioletta. Lascia il marito Salvatore con il secondo figlio.
Il medico responsabile del reparto di neonatologia dell’ospedale in provincia di Napoli dove la donna era ricoverata manifesta la sua preoccupazione per i troppi bimbi “nati pre-termine da mamme con Covid”.
Salvatore lancia un accorato appello perché non si ripetano queste tragedie ma le sue parole faticano a farsi strada nel groviglio delle esternazioni e cade nel vuoto.
Tutto sembra venire respinto nelle case, nelle piazze, sulle strade e ancor prima nella ragione. A fronte degli slogan urlati ogni sabato sera Liliana Segre, ancora una volta colpita da insulti, dice che non c’è altra risposta che il “silenzio”.
Un silenzio fatto di continui tentativi di dialogo e di confronto. Liliana Segre rimane oggi, come al suo ritorno dal campo di concentramento, in attesa non passiva del giorno in cui la ragione si sveglierà dal sonno. Restano nel frattempo anche le domande: quanto tempo ci vorrà per scrivere la parola fine a queste tragedie, quante vittime ci saranno prima di un sobbalzo della coscienza, fino a quando sarà possibile aspettare da quanti hanno fatto dell’irrazionalità la propria bandiera? Non c’è però tempo da perdere dicono Nancy e Salvatore: prima che altri soffrano e muoiano quella triste bandiera deve essere ammainata.