Razzismo, "le donne nere vivono una doppia discriminazione"

L’esperta di profili identitari Ndack Mbaye, originaria del Senegal e cresciuta in Italia, racconta come il problema del razzismo sia strettamente interconnesso alla violenza di genere: “Le donne nere vengono discriminate due volte: nelle comunità di afrodiscendenti in quanto donne, e negli ambienti femministi in quanto nere”

Razzismo, "le donne nere vivono una doppia discriminazione"

“Il razzismo in Italia non è un’emergenza, bensì un problema strutturale con radici culturali ben radicate nel passato. 
E quando l’essere di colore si unisce all’essere donna, la discriminazione è ancora più complessa e interconnessa”. Ndack Mbaye, 27 anni, è nata nella periferia di Dakar, in Senegal, ma ha un accento spiccatamente veneto. È infatti cresciuta a Venezia, ha studiato giurisprudenza e oggi si occupa di temi che spaziano tra filosofia del diritto, profili identitari e società. Dopo l’omicidio di George Floyd, il razzismo è tornato il tema caldo che occupa le prime pagine dei giornali, ma secondo Mbaye si parla sempre troppo poco di come la questione sia strettamente interconnessa a quella di genere.

“Le donne nere vengono discriminate due volte: nelle comunità di afrodiscendenti in quanto donne, e negli ambienti femministi in quanto nere – spiega Mbaye –. Io vengo da una cultura in cui la donna in alcuni contesti ha un certo ruolo e non sempre è pienamente libera. Eppure, non mi sento di poter discutere pubblicamente di un certo tipo di oppressioni che vivo sulla mia pelle, perché so che così facendo presterei il fianco ad attacchi xenofobi e razzisti: non voglio finire per rinforzare una retorica anti islam e anti immigrati che è ancora più pericolosa”. 

In seno alle comunità nere in Italia, racconta Mbaye, c’è sì un’oppressione a danno delle donne, ma anche a danno degli uomini. “Quando si parla di afrodiscendenza, c’è una forte componente di esaltazione del machismo nero – racconta –. È difficile uscire da quel retaggio culturale, che danneggia sì le donne, ma anche gli uomini. Oggi a livello internazionale c’è una grande attenzione nei confronti dei diritti femminili, e così finiamo per dimenticarci che anche gli uomini vivono oppressioni nascoste e forse più difficili da scoperchiare: dobbiamo renderci conto che non si possono liberare le donne, senza liberare anche gli uomini”.

Ma le difficoltà che riscontrano le donne di colore non si trovano solo all’interno delle proprie comunità d’origine. Essere nera e portare avanti le proprie battaglie di emancipazione non è semplice neanche negli ambienti femministi: “Io non mi posso definire un’attivista femminista: la mia scelta di non militare nasce anche dal fatto che le battaglie dei gruppi femministi sono diverse dalle mie, essendo legate alla liberazione di corpi bianchi – spiega Mbaye –. Quando in quegli ambienti si parla invece delle battaglie di corpi neri, lo si fa spesso con una semplificazione estrema, anche se negli ultimi anni c’è stata maggiore attenzione e si è visto qualche spiraglio. Ci sono corpi che si trovano ancora ad affrontare problemi che una donna bianca non prende neanche in considerazione: pensiamo alle mutilazioni genitali femminili, ai matrimoni combinati o precoci, ai padri padroni. Condannare queste pratiche dal punto di vista della donna bianca, che parla dall’alto dei propri diritti femministi raggiunti, va a cancellare una serie di altre problematizzazioni che sono importanti: ovviamente non si tratta di giustificare questi comportamenti, ma di comprendere che non esiste solo il punto di vista eurocentrico. Non bisogna fare l’errore di presumere quelle che secondo noi sono le aspirazioni dei corpi e degli spiriti delle donne nere, perché loro stesse sono un crogiolo di tanti elementi culturali che la donna bianca non è in grado di comprendere: per questo, non è il suo compito di farsene portavoce”.

Tra le più grandi difficoltà che le donne nere sono costrette ad affrontare oggi in Italia, Mbaye parla di una costante iper-sessualizzazione ed esotizzazione: “Il corpo nero femminile è sempre stato un corpo oppresso e sfruttato anche dal punto di vista sessuale – racconta –. Ancora oggi, se mi fermo per strada ad aspettare qualcuno, la gente mi prende per una prostituta: la mia immagine sconta di una lunga storia di sfruttamento sessuale. Non dimentichiamo che durante la tratta degli schiavi venivano fatte prove di equilibrio sui seni delle schiave, per capire se andavano vendute per il lavoro o per il sesso. Purtroppo siamo ancora vittime dello stereotipo legato a una visione esotica del corpo nero, con il sederone, il seno alto, gli zigomi che puntano al cielo: tutti elementi che creano un ulteriore standard estetico a cui i nostri corpi sono ancora oggi sottoposti”. 

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)