Stato, regole, mercato. Il Coronavirus ridisegna l'intervento statale sui mercati

Si ritorna a parlare di Stato, di interessi nazionali, di barriere da frapporre, di distinguo tra investimenti di un certo tipo e razzie.

Stato, regole, mercato. Il Coronavirus ridisegna l'intervento statale sui mercati

Questa pandemia sta uccidendo anzitutto l’Europa delle regole comuni, dei vincoli stringenti, dei trattati condivisi e (spesso) rispettati; della voce sovrannazionale che sovrasta quella nazionale. Se c’è da sopravvivere, la filosofia fa un deciso passo indietro.

Così i confini polacchi si blindano per la paura che entri il contagio; così le merci nell’Est Europa si bloccano alle frontiere in chilometriche code di tir; così lo “straniero” torna ad essere straniero e non concittadino comunitario. L’economia, poi, fa saltare il banco. Le vituperate nazionalizzazioni sono all’ordine del giorno in diversi settori, a cominciare dal trasporto aereo; i negletti aiuti di Stato sono anzi invocati da tutti: qui il pericolo non è quello di falsare la concorrenza, ma di non rianimare il moribondo.

La spesa pubblica? Esploderà, ovunque. La Germania mette sul banco qualcosa come 550 miliardi di euro per sostenere la propria economia (e la propria società); per l’Italia si parla di una cifra che sta attorno alla metà. Tutti allargheranno i cordoni della borsa, chiedendo soldi ai “mercati” e spingendo sulla leva del debito. Poi, bisognerà pagarli quei debiti e sarà meglio che torniamo nell’alveo comunitario e ai famosi quanto finora osteggiati eurobond. (Sia detto en passant: oggi tutti invocano il sostegno dell’Europa, le spalle larghe che ci possono proteggere: pure i folli che fino a ieri predicavano uscite dall’euro e abbandoni stile Italexit).

La sfiducia collettiva sta premendo soprattutto sulle Borse, che soffrono di due mali: erano salite molto (e quindi si cerca di liquidare per salvare i guadagni, non solo per liquidare); in più le azioni sono pezzi di carta, alla fine. Meglio il soldino in conto corrente.

Così i valori di diverse aziende italiane – anche di ottima qualità – sono a livelli di saldo. Il fatto poi che siano quasi sempre di medie dimensioni nel panorama mondiale fa sì che il vero problema, oggi, sia quello di vedersele sfilare da sotto il naso. Di acquirenti solidi e pieni di liquidità è pieno il mondo, soprattutto tra i concorrenti che in un sol colpo – e per una manciata di noccioline – potrebbero acquistare asset redditizi ed eliminare pericolose concorrenti.

Per carità: non tutti i cambi di casacca sono negativi. Ma un conto è vedere qualcuno che si accolli l’osso di Alitalia; un altro è assistere impotenti al rapace acquisto di una solida banca o di un’azienda metalmeccanica di successo che d’ora in poi parleranno lingue molto esotiche da luoghi molto lontani.

Si ritorna quindi a parlare di Stato, di interessi nazionali, di barriere da frapporre, di distinguo tra investimenti di un certo tipo e razzie di altro tipo. Macché libero mercato: al suo interno è tornato il guardiano ad imporre le regole, nella consapevolezza che – se non lo farà – o non ci saranno più regole o non ci sarà più mercato.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)