"Che succede signor parroco?". Il fascino discreto della leggerezza

Leggerezza vuol dire un modo di esprimere l’oggi, un modo come tanti. Ve ne sono di più profondi e drammatici, ma questo serve a narrare a tutti.

"Che succede signor parroco?". Il fascino discreto della leggerezza

Si può narrare in un romanzo la storia dei nostri giorni, ad esempio quella di comuni amministrati dalla Lega che si confrontano con i parroci nella provincia lombarda? E lo si può fare in modo leggero, memore dell’esempio di Guareschi che aveva messo di fronte ad un parroco testardo un sindaco comunista altrettanto testardo? A leggere gli eventi narrati da Carlo Maria Paradiso in “Che succede signor parroco?” (San Paolo, 189 pagine, 15 euro) sembra di sì: il microcosmo della provincia in cui alle parrocchiane più attente basta uno sguardo per capire che nella vita del sacerdote è accaduto qualcosa, in cui il “nemico” è una bella sindaca per di più praticante ancorchè leghista, è spostato dagli anni cinquanta ad oggi.

Rimangono gli espedienti più o meno leciti per condurre quella che un tempo sarebbe stata una lotta “di classe”, compresa la sottrazione di gatti in un momento storico in cui la difesa dell’ambiente si coniuga con quella del mondo animale e può causare manifestazioni di piazza. Non ci sono le feste dell’Unità (rimpiante pure a destra, vista la deriva del disimpegno più totale in una fetta della gioventù d’oggi), ma la presenza mediatica di cantanti, piloti di Formula 1, di campioni internazionali, in questo caso del tennis. Tutto leggerezza, pizze e fichi, allora? No: leggerezza vuol dire un modo di esprimere l’oggi, un modo come tanti. Ve ne sono di più profondi e drammatici, certo, ma questo serve a narrare a tutti, anche quelli che non ne leggerebbero affatto, i problemi che pone la questione refugees, per usare un termine portato all’attenzione mediatica all’inizio dei Settanta da un gruppo di rock progressivo (e poi dice che l’arte non interpreta, anzi, anticipa, la realtà), i Van Der Graaf Generator. Un problema serio e che richiede soluzioni pragmatiche, non solo e non tanto ideologiche, e che è necessario analizzare con occhi insieme realistici e capaci di utopia.

In questo modo va letto “Che succede signor parroco?”: la leggerezza è una delle forme con cui si può entrare nella realtà, schierarsi, portare una scelta fuori di sé e renderla comprensibile agli altri, con una certa grazia. Don Camillo e il sindaco comunista Peppone, se ci si pensa bene, rappresentavano in maniera ironica, popolare, momenti ben più pesanti di contrapposizione e di resa dei conti dopo la caduta del fascismo, con esecuzioni sommarie e cacce all’uomo. Ma ci sono stati modi diversi di narrare quella stagione, dal “Sentiero dei nidi di ragno” di Calvino (anche qui una resistenza vissuta con gli occhi meravigliati di un ragazzino) a “Primavera a Trieste” di Pier Antonio Quarantotti-Gambini passando per “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò o “La ragazza di Bube” di Cassola.

Con qualche ingenuità, nel caso del nostro autore, come quando sono volutamente storpiati i nomi dei protagonisti mediatici, (del tipo Sing per Sting o Trederer per Federer), perdonata anche per il fatto che nella narrazione si fa largo il significato profondo di una sofferenza nascosta dietro dibattiti, elezioni, contrapposizioni, soprattutto quando un vescovo ricorda alla giornalista rampante che “è proprio lì che parla” il Dio di questa piccola storia specchio di un mondo in cui la gente se ne va per fame e per i cambiamenti climatici, non solo per la ricerca di uno status diverso: nel silenzio, nella sofferenza, nella condivisione della buona e cattiva sorte.

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Fonte: Sir