Corte europea: “L’ergastolo ostativo viola i diritti umani”

Con sei voti a favore e uno contrario, la Corte europea dei diritti dell’uomo affronta il tema riconoscendo la violazione e invitando l’Italia a un cambio di direzione. Il Garante Palma: “La Corte ci invita a riflettere sulle finalità della pena"

Corte europea: “L’ergastolo ostativo viola i diritti umani”

ROMA - “L’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione europea”. Con sei voti a favore e uno contrario, la Corte europea dei diritti dell’uomo per la prima nella storia italiana ha affrontato la questione dell’ergastolo ostativo riconoscendo la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani e degradanti come la tortura. Il caso, che sta aprendo una profonda riflessione sul diritto penale e penitenziario, arriva dal ricorso di un detenuto, rinchiuso in carcere ininterrottamente dal 1992. “Quella di oggi è una decisione importante, soprattutto perché deve far riflettere sulla pena e sulla sua finalità – dichiara a Redattore Sociale il Garante nazionale deidiritti dei detenuti, Mauro Palma -. Non è una cosa da sbandierare con posizioni preconcette ma un invito forte a una riflessione su quale sia la prospettiva della pena. Anche nei casi in cui si utilizzano regimi forti la finalità non deve essere mai persa, così come deve essere sempre tenuta presente la possibilità che quelle persone nel tempo possano mutare.

Altro aspetto importante: la dignità umana è un valore assoluto che prescinde da tutto e che va sempre ricordato. Tengo a precisare che la Corte non mette in discussione di per sé il 41 bis o la necessità di misure severe, tra l’altro qui parla del 4 bis, ma stabilisce prima di tutto il primato della dignità da tenere presente e poi invita lo Stato italiano a riflettere su come si possano determinare situazioni che rischiano di far perdere di vista la finalità rieducativa dell’articolo 27 della nostra Costituzione”.

Che cosa succede adesso?
“La Corte dice che questo non significherà nulla rispetto alla libertà del soggetto, ma che lo Stato deve interrogarsi sull’assolutezza che copre non solo i benefici ma anche la prospettiva di una liberazione condizionale. Teniamo presente che la liberazione condizionale, che è nel codice non nella legge penitenziaria, è prevista dopo 26 anni. Ora, 26 anni fatti senza beneficio sono proprio 26. D’altra parte la Corte in precedenti sentenze che avevano riguardato il Regno Unito e la Bulgaria aveva dato indicazioni secondo cui dopo 25 anni, più o meno, sarebbe importante interrogarsi sulla persona che ci si trova davanti e guardare anche al percorso che ha fatto”.

Quante sono state le sentenze sul tema?
“In termini assoluti le sentenze sono state 30 e hanno riguardato ben 13 Stati. Mentre ci sono al momento altri casi pendenti. Nella sentenza di oggi si registra una evoluzione perché la Corte se nel 2008, in un caso rispetto a Cipro, aveva detto che il fatto che ci potesse essere la grazia presidenziale era di per sé una speranza, poi via via ha modificato, facendola evolvere, la sua giurisprudenza. Tanto che nel 2013 in un caso rispetto al Regno Unito ha sostenuto che non poteva bastare la sola grazia del sovrano ma che c’era bisogno di una norma che prevedesse una revisione dopo un certo numero di anni. Ecco, in questo solco si inserisce la sentenza di oggi che non è solo una questione italiana ma resta un punto di riflessione importante anche per noi”.

Una prima volta per l’Italia?
“In realtà – spiega Palma - per l’Italia c’era stato un altro caso su cui la Corte si era interrogata rispetto a un ergastolo, nel 2008, dichiarandone però l’inammissibilità per come era formulato, perché chiaramente infondato: non c’era ancora l’ostatività, come termine, per il ricorrente. In questo senso oggi siamo davanti a una prima volta importante anche perché la Corte ha accettato le terze parti, i cosiddetti amici curiae composti da gruppi che facevano capo all’università di Milano e di Firenze. Proprio perché è un tema su cui si voleva riaprire una discussione e che va affrontata con calma. E’ inutile ora schierarsi. La decisione ci pone dei principi: quello della modificabilità dei destini della persona e quello della dignità come valore fondante. Ecco, abbassiamo i toni e discutiamo di questo. Ci farà bene per discutere anche sul significato della pena. Mi auguro che l’Italia metta in piedi un gruppo di lavoro a livello parlamentare o esecutivo per ragionare insieme su come muoversi dopo questa sentenza”.

Teresa Valiani

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)