Il testamento di un gesuita
Il testamento spirituale di Papa Francesco rivela le sue radici ignaziane, la centralità della Trinità e della devozione mariana. Espressione della libertà interiore del pontefice, è un’eredità di discernimento, povertà, ascolto e sequela, maturata fin dalla giovinezza nella Compagnia di Gesù

“Nel Nome della Santissima Trinità. Amen. Sentendo che si avvicina il tramonto della mia vita terrena…”.
Così inizia il testamento spirituale di Papa Francesco, che nella luce dell’ottuplice giorno di Pasqua ha fatto la sua Pasqua, ed è passato alla Casa del Padre.
Molti vedono in queste parole, scritte con la sobrietà che ha sempre contraddistinto questo Pontefice, principalmente il lascito di indicazioni molto specifiche sul luogo della sua sepoltura. Eppure, per comprenderne in profondità il senso, dobbiamo tornare alle radici della sua formazione, a quella Compagnia di Gesù a cui si consegnò sin dalla prima giovinezza.
Il testamento spirituale è infatti un tipico esercizio ignaziano, che aiuta l’esercitante a contemplarsi nel giorno della propria morte, in vista della maturazione della vera, santa, indifferenza, cioè del distacco da qualunque cosa, per mirare solo e soltanto alla sequela di Cristo: “Devo considerare, come se fossi in punto di morte, il criterio e la misura che allora vorrei aver tenuto nella presente elezione; e così regolandomi, prenderò fermamente la mia decisione” (Esercizi spirituali, n. 186).
Tutta la spiritualità di Josemaria Bergoglio, così come in seguito il suo magistero come Papa Francesco, è impregnata dei temi ignaziani che l’hanno formato, e che hanno plasmato il suo modo di vedere e di agire:
non sorprende quindi che le sue ultime parole, dettate con lucida consapevolezza nell’esperienza del limite estremo, inizino dall’invocazione della Trinità, il contatto mistico con la quale fondò l’esperienza del suo maestro sant’Ignazio, e arrivino alla descrizione del rapporto personale, filiale e amoroso, del papa con Maria: è Maria infatti che, nella spiritualità ignaziana, si fa garante dell’“ascesa” dell’esercitante fino al Padre: “Farò un colloquio con nostra Signora, perché mi ottenga dal suo Figlio e Signore la grazia di essere accolto sotto la sua bandiera, anzitutto in somma povertà spirituale e, se la divina Maestà così vorrà e intenderà scegliermi e accogliermi, anche nella povertà materiale; poi sopportando umiliazioni e insulti, per meglio imitarlo in questi, purché possa sopportarli senza peccato di alcuna persona e senza offesa alla divina Maestà” (Esercizi spirituali, n. 147).
Come non vedere in questa richiesta, ripetuta e pressante nel corso degli Esercizi, la filigrana di tutte le scelte e i discorsi di Francesco, il quale, coerentemente con questo affidamento costante alla Madre, lascia scritto: “Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario Mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni Viaggio Apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura.”
Solo tornando al testo degli Esercizi ignaziani, nel tempo, si capirà appieno la visione antica e rivoluzionaria al contempo che questo Pontefice ha apportato, e il senso delle sue dichiarazioni, ufficiali o ufficiose che fossero: il primato dell’ascolto della coscienza, il rinvenimento dell’amore di Dio nel creato, la necessità di un costante discernimento… tutti temi tanto familiari a chi ha avuto la fortuna di conoscere Ignazio e i suoi.
Troppo spesso hanno tentato invece di incasellare le sue affermazioni, o etichettarle in base ai gusti ideologici di turno, mancando però di coglierne la complessa profondità, che solo l’esperienza autentica di fede, e non l’ideologia, può svelare.
E ora, Francesco, sei libero da ogni etichetta, libero per sempre, tu che sei sempre stato testimone della bellezza della libertà che Dio ha concesso a noi uomini.
Alessandro Di Medio