Padre Antonio Bertazzo: "Siamo dentro un’epoca di pre-cristianesimo. Provocazione salutare"

La provocazione di un mondo che torna a essere “pre-cristiano” nelle parole di padre Antonio Bertazzo, francescano conventuale, docente di psicologia generale e della religione alla Facoltà teologica del Triveneto.

Padre Antonio Bertazzo: "Siamo dentro un’epoca di pre-cristianesimo. Provocazione salutare"

Cos’è cambiato nel senso di appartenenza dei fedeli adulti verso le parrocchie negli ultimi cinquant’anni?
«Si sono verificate delle trasformazioni culturali e religiose molto profonde. Il fenomeno più evidente è la trasformazione della uniformità culturale e religiosa proveniente dal passato e caratterizzata da un’adesione ampia a modelli della tradizione che garantiva anche la trasmissione di uno stile e di un modo di pensare rassicurante. Tra questi elementi mutanti, anche la fede religiosa e il comportamento che ne derivava, il consenso etico sociale a norme e costumi più o meno diffusi: tutto è stato oggetto di mutamento. Anche i luoghi classici di aggregazione, come le parrocchie, non sono più individuati come necessari. La moltiplicazione di interessi altri e variegati, di nuovi luoghi di incontro, ha portato come conseguenza a diversificare scelte e frequenze. Le comunità parrocchiali stanno soffrendo di questa disgregazione».

Cosa contraddistingue chi ancora frequenta, al netto delle convinzioni religiose personali?
«La situazione vede persone di una certa età che continuano a frequentare secondo una continuità e tradizione. La fascia giovanile sembra essere eclissata ormai da molto tempo. Tuttavia, la fede religiosa non si misura solamente dalla frequenza e dalla presenza. È certamente un segno, ma a calcolare i numeri si rischia di considerare l’efficacia dell’annuncio in termini quantitativi. Certamente si delinea progressivamente una forma di adesione alle convinzioni religiose più intensa, convinta. Mi sembra siano iniziate “a macchia di leopardo” aggregazioni valide che si compongono di persone che si coinvolgono in modo più attivo e con maggior convinzione. Ma la situazione è molto magmatica e non sempre definibile. La domanda che tutto questo lascia è quella che ci interroga “sulla Chiesa che verrà”, in quanto ci stiamo orientando, ma forse lo siamo già, dentro un’epoca di pre-cristianesimo. Una grande provocazione salutare che invita a guardare ciò che ci attende, piuttosto quello che non è più».

Quali attenzioni pastorali specifiche vanno rivolte all’adulto che è rimasto in parrocchia per non farlo sentire fuori posto?
«Servono gruppi di formazione e di approfondimento della fede a partire dall’essenziale approccio alla Parola di Dio da cui scaturirà la vita sacramentale. Siamo in presenza di adulti che non conoscono la bellezza dei fondamenti teologici della vita cristiana. Per cui, al di là dei numeri di adesione, si dovrà pensare – come già sta avvenendo – a piccoli gruppi di incontro e formazione».

In che modo l’adulto rimasto in parrocchia può rendere testimonianza della sua fede in modo autentico, andando oltre al mero formalismo?
«Penso che sia da rispettare ogni adesione e ascoltarla. L’ascolto e la vicinanza faranno la differenza. Siamo in un tempo in cui non possiamo fermarci a misurare la fede e l’adesione. Il motto potrebbe essere: “Grazie. Sei il benvenuto poiché ognuno è dono”».

Due anni fa, in occasione del seminario promosso dalla Facoltà teologica del Triveneto – “Adulti in Cristo” – ha parlato di come abbiamo bisogno di persone «non speciali, ma normali», che sanno rielaborare in modo resiliente anche le situazioni più difficili. In che modo questo si connette a uno scenario di sempre maggior fragilità?
«Ci saranno ancora persone ispirate dallo Spirito di Dio che si adopereranno a incontrare e raccogliere l’umanità ferita, quella che non griderà, non si mostrerà. Questa è la concreta carità che Dio saprà suscitare nel cuore delle comunità cristiane, divenendo così luoghi di annuncio della salvezza».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)