3.500 chilometri, 5 anni, 2 cuori e un tetto. Una lunga fuga, una difficile integrazione e ora, finalmente, una casa

Quella di Sophia e Iakob è una storia che inizia, cinque anni fa, a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia. In Georgia.

3.500 chilometri, 5 anni, 2 cuori e un tetto. Una lunga fuga, una difficile integrazione e ora, finalmente, una casa

“Dopo quasi cinque anni senza una casa, adesso possiamo fare dei piani per il nostro futuro e iniziare a pensare che anche noi ce la possiamo fare”.

Quella di Sophia e Iakob è una storia che inizia, cinque anni fa, a migliaia di chilometri di distanza dall’Italia. In Georgia. “Un paese meraviglioso”, racconta Sophia. Situata nel Caucaso meridionale, ai confini con la Russia, la Turchia e l’Armenia, e bagnata a ovest dal Mar Nero, la Georgia ha un territorio prevalentemente montuoso, dominato dalla catena del Caucaso, che abbraccia due valli fluviali, quella del Kura e quella del Rioni. Per essere un Paese relativamente piccolo (la sua superficie è di 69.700 km quadrati) ha un clima estremamente diversificato, con estati fresche e umide e inverni nevosi (in alcune regioni il manto nevoso arriva a superare spesso i 2 metri). Un territorio ricco di foreste e di un gran numero di specie animali. Ma è anche un territorio “purtroppo pieno di problemi”, segnato dalle vicissitudini civili e territoriali successive alla guerra in Ossezia del Sud del 2008.

“Siamo dovuti scappare – spiega Sophia –. Iakob è stato catturato, imprigionato e torturato. Non l’ho visto per giorni e giorni e quando è tornato a casa era ricoperto di sangue. Il suo viso non era più riconoscibile e molte delle sue ossa erano rotte. L’unico modo per salvare la nostra vita e quella dei nostri cari è stato fuggire”.

E così, non appena è stato possibile, Sophia e Iakob sono scappati. “Non abbiamo avuto il tempo di programmare nulla – racconta Sophia – Abbiamo la nostra casa e tutta la nostra vita con in mano una valigia per due. Un paio di pantaloni, qualche maglietta e un paio di scarpe”. Hanno affrontato un viaggio di quasi 3.500 chilometri. “Siamo arrivati a Bolzano con l’ultimo treno della sera – ricorda –. Abbiamo dovuto passare la notte in strada. Era marzo e faceva davvero molto freddo. I pochi soldi che avevamo, i risparmi di una vita, sono finiti in fretta. Non avevamo nulla, non sapevamo cosa fare ed eravamo soli. Avevamo freddo, avevamo fame, non capivamo la lingua, eravamo esausti. Non potevamo permetterci neanche il sapone per lavarci”.

“Abbiamo pianto tanto”, rivela Sophia.

Nel capoluogo altoatesino sono stati accolti in un centro gestito dall’associazione Volontarius. “Abbiamo potuto frequentare corsi di italiano – racconta Sophia – e Iakob ha potuto fare un percorso psicologico per superare i suoi traumi e abbiamo trovato entrambi un buon lavoro. Nel centro abbiamo stretto nuovi legami, conosciuto nuove culture e condiviso momenti molto preziosi”. Ma ci sono anche i risvolti negativi, che si fanno sentire, soprattutto quanto la convivenza si prolunga nel tempo. “In un centro di accoglienza la vita però non è facile – spiega Sophia – Abbiamo vissuto insieme ad altre 16 famiglie provenienti da ogni parte del mondo. Non è possibile avere tranquillità o privacy. Non puoi andare in bagno quando vuoi o mangiare quando hai fame. Non sei mai solo e non c’è mai silenzio. Non si riesce a dormire perché c’è chi russa, chi piange, chi torna dal lavoro a tarda notte. Qualcuno potrebbe pensare che sia comodo non dover pagare un affitto. Ma il prezzo da pagare è la tua salute, la tua vita”.

Sophia e Iakob si mettono in cerca di un appartamento in affitto. Entrambi lavorano, hanno imparato l’italiano e lo parlano bene. Ma l’offerta non è molta, i prezzi sono alti e, non da ultimo, loro sono stranieri. “Ad aiutarci a trovare casa sono stati Lorenza, Miguel e Stefano del Gruppo Volontarius – racconta Sophia – senza di loro non so come avremmo fatto. Ci hanno supportato nella ricerca di un appartamento e ci hanno accompagnato quando dovevamo firmare il contratto d’affitto, assicurandosi che fosse tutto in ordine e che non avessimo compreso tutte le regole. In quel periodo ci sono stati momenti di grande sconforto ma in Volontarius abbiamo trovato persone che ci hanno aiutato a non mollare. Come Mimì, l’insegnante di italiano. Ci ha insegnato tutto quello che dovevamo sapere per prendere una casa in affitto, le parole da usare e i loro significati. Ma ci ha aiutato soprattutto a non perdere la speranza. Ci incoraggiava a non abbatterci. Ci diceva che ci vuole tanta pazienza, di provare ancora e ancora e che non dovevamo abbatterci. Mimì ci è sempre stata vicina”.

Oggi Sophia e Iakob ridono felici, seduti uno accanto all’altra davanti a una golosa porzione di tiramisù e ad un’alzatina piena di mele rosse e uva, e raccontano la loro storia sulla pagina Fb dell’associazione Volontarius.

“Non c’è niente di più importante di avere una casa – sottolinea Sophia –. Qui possiamo andare in bagno quando vogliamo, possiamo lavare i nostri vestiti, cucinare il cibo che più ci piace, possiamo riposare dopo una lunga giornata di lavoro. Possono sembrare cose elementari e banali ma, quando perdi queste libertà, nascono grandi problemi. La casa è importante per il tuo corpo, per la tua salute, per la tua mente e per il tuo cuore”.

“Quando siamo venuti a vedere questo appartamento, abbiamo pensato che fosse l’inizio di una nuova vita. Adesso che abbiamo una casa possiamo finalmente pensare che andrà tutto bene”.

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Fonte: Sir