Alla ricerca della preghiera perduta. Alcuni libri che ci aiutano a riscoprire la preghiera
In festività che stanno lentamente perdendo la loro origine religiosa si fa largo la richiesta di un ritorno alla preghiera come colloquio con Dio.
“Che cos’è infatti la sacra Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente inviata alla sua creatura?”
In questo passo della lettera di san Gregorio Magno a Teodoro, che esercitava la professione medica a Costantinopoli, si cela tutto il senso di ciò che dovrebbe essere la preghiera oggi. Quella citazione si trova anche all’interno di un volume importante per questo discorso, “La preghiera del cuore. Tradizioni ed esperienza” (a cura di Giuseppe Ferro Garel, con una prefazione di mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo. Lindau 2019): questa raccolta di interventi, sia di personalità e monaci occidentali, sia di rappresentanti del mondo ortodosso, ci aiuta a capire meglio qualcosa che via via sta sfuggendo nella fretta dei regali, delle prenotazioni e dei consumi in festività che dovrebbero invece spingerci in direzione contraria. La preghiera è il veicolo necessario per questo viaggio. Ma come pregare? Nell’ormai celebre, anche in occidente, “Racconti di un pellegrino russo”, come spiega Maciej Bielawski in “Stannik. Spiritualità del pellegrino russo” (edizioni Lemma Press, 2017), il viandante senza fissa dimora porta nel suo viaggio il messaggio della preghiera semplice, quella dettata dal cuore, da proclamare nel silenzio interiore, anche e soprattutto nei momenti di crisi, di povertà, di fame e di sopportazione della violenza.
Con qualcosa che rimanda alla lettera di san Gregorio Magno, perché il pellegrino russo porta con sé, tra le poche cose, una Bibbia. Ed è questo il punto fondamentale. Nel libro sulla preghiera del cuore e in molte altre pubblicazioni si fa largo l’inquietante domanda su come pregare per evitare che la preghiera diventi un circolo vizioso autoreferenziale, e forse la risposta più giusta è quella di Guido Innocenzo Gargano, monaco camaldolese oltre che docente al pontificio istituto biblico: “L’autenticità della preghiera sembra nascere dunque dalle Scritture e crescere grazie al nutrimento garantito dalle Scritture”. Come sottolinea anche Carlo Rocchetta in “L’invocazione del nome di Gesù” (EDB, 2008), la ricerca della preghiera del cuore, da quella di poche sillabe alla tradizionale “Signore Gesù Cristo figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore”, non può non prescindere dalla ricerca biblica e teologica. È probabilmente questo il metodo, se ancora di metodo razionale si può parlare in prossimità dello sprofondamento nell’Essere attraverso la preghiera, più adatto per tentare la via di un’orazione in cui non prevalgano le pulsioni egotiche celate in ognuno. Dai contributi citati e dalle esperienze conosciute fino ad ora, l’aiuto di una guida spirituale, il contatto con la Scrittura (i Salmi, ad esempio, hanno avuto grande importanza da questo punto di vista), la recita anche di preghiere strutturate e continue, come il Rosario, con la funzione di placare l’emotività del cuore, sono i modi migliori per unire la preghiera al discernimento.
Dal volume sulla Preghiera del cuore emerge anche un’altra necessità: quella di mettere da parte, e non solo nella preghiera, l’orgoglio culturale, la tentazione di spaccare il capello in quattro dimostrando a tutti la propria erudizione, in poche parole di sforzarsi di attenuare il vecchio ego che vuole emergere su tutto e tutti, imputando agli altri gli ostacoli e il dolore che inevitabilmente si incontrano per la strada. Già questa, in fondo, è una forma di abbandono a Dio.