Calcio. “Finalmente ho visto la partita di mio figlio”: un papà cieco e Beppe il volontario

Gennaro Iorio va a tutte le partite del figlio, ma non ha mai potuto vederne una: “A volte mi è capitato di guardare perfino la partita sbagliata. O di restare coperto tutto il tempo da un bidone”. L'aiuto è arrivato tramite una social street di Bologna. “Ma ci vorrebbe più attenzione anche da parte delle società”

Calcio. “Finalmente ho visto la partita di mio figlio”: un papà cieco e Beppe il volontario

“Dopo la mia esperienza di 'spettatore passivo' ad una partita di calcio di mio figlio; dopo varie ore dietro ad un bidone dei rifiuti, voglio raccontare un altro modo d'essere al mondo: grazie a Claudia dell'associazione ROC ed il suo post varie persone si sono rese disponibili, gratuitamente, ad accompagnarmi alle partite di Francesco e raccontarmi cosa accade”. Inizia così il “lieto fine” della storia di un papà cieco e delle partite di suo figlio. Il papà si chiama Gennaro Iorio, insegna e ama la filosofia e ha un bambino di 9 anni che, come tanti, ama il calcio e lo gioca. Alle partite, Gennaro non manca mai: “Anche se ovviamente non posso vederle, ci tengo a essere lì e per mio figlio è importante che io ci sia – ci racconta – Certo, poterle anche seguire, capire chi vince e chi perde, sapere se mio figlio segna e ricambiare il suo sguardo sarebbe ancora più bello. Ma quasi mai è possibile. Quello che accade, il più delle volte, è che fatichi già a trovare il campo da gioco. Entro nel centro sportivo, chiedo indicazioni e mi sento rispondere: 'Da quella parte'. Così, è accaduto più di una volta che mi sia ritrovato alla partita sbagliata”.

Un bidone in tribuna

Ancora più umiliante è stato però vedere la partita “in compagnia” di un bidone: “Io non me ne sono accorto, ma mio figlio sì. Mi ha detto: 'A un certo punto, ho guardato in tribuna e ti ho visto lì, sotto il sole, nascosto dietro un bidone della spazzatura...'. Gli altri genitori, naturalmente, tutti da un'altra parte, a tifare per i figli”. La vicenda è stata così imbarazzante e avvilente, che Iorio l'ha raccontata in un post: “Sto facendo l'esperienza di accompagnare mio figlio alle sue partite di calcio – raccontava meno di una settimana fa - Entri in questi enormi centri sportivi e se chiedi indicazioni per trovare un luogo dove, diciamo così, seguire la partita ti dicono vai di là o di qua... Non ho ancora trovato un responsabile che mi abbia detto ti accompagno io. I genitori degli altri bambini: l'ultima partita per capire chi erano e chi seguivano ho dovuto aprire il file delle convocazioni per leggere i nomi, così se x gridava vai Marco e c'era un Marco nell'elenco, ipotizzavo che fosse la squadra di mio figlio. Non voglio neanche pensare all'ipotesi di più Marco in più squadre. Così solo per applaudire al momento giusto”. Si chiede, Iorio: “Perché nessuno si avvicina per raccontarti, un po', cosa succede? Io poi ho tutto per dire agli altri che sono un bel cieco vero: cane-guida o bastone ed occhiali. Ma niente, al cieco non si parla. So che mio figlio mi cerca nel pubblico, infatti, dopo l'ultima partita mi ha detto: 'Ti ho visto in tribuna, ma perché eri dietro un bidone?' Scattiamo una foto di questa giornata: decine di genitori uno accanto all'altro che seguono una partita e vari metri più in giù una persona cieca sudata, sola ed al sole. Questa è l'inclusione. Questa è l'Italia. Risolverò il problema inclusione, probabilmente, con il mezzo che rende le persone inclusive e disponibili: pagandole”.

Beppe, la fine di un incubo

La risposta, dai social, non si è fatta attendere: a offrire ciò che manca, come spesso accade, ci ha pensato il volontariato: “Una mia amica, che fa parte di R.O.C., una social street di Bologna, ha scritto un post sulla bacheca, in cui chiedeva se ci fosse qualcuno disponibile ad accompagnarmi e raccontarmi cosa succedeva. Dopo questo suo post, ho ricevuto diverse offerte di disponibilità. Sabato scorso finalmente, con Beppe Persichelli, mi sono goduto tutta la partita e ho potuto ricambiare lo sguardo di mio figlio e perfino il pollice alzato dopo una sua bella parata. Tutto questo grazie a Beppe, che mi è stato accanto, e, tra una chiacchiera e l'altra, mi raccontava cosa accadeva nel campo. E' stata un'esperienza decisamente diversa: un conto è stare lì a fare il convitato di pietra, un conto è sapere che potrò, a fine partita, confrontarmi con mio figlio sui momenti e le azioni della partita. E' una di quelle piccole cose semplici che possono rendere molto più felice la vita di una persona con disabilità”.

E domani? L'appello ai genitori e alle società

Ed è questo l'invito e l'appello di Iorio: da un lato ai genitori, “perché si avvicinino a chi non vede e offrano il loro aiuto, dato che lui difficilmente lo chiederà: anche perché non potete immaginare quanto sia difficile distinguere i genitori della tua squadra dagli altri”. Dall'altro, alle società sportive, “perché abbiano piccole attenzioni, come quella di accompagnare al campo e in tribuna la persona con disabilità: e questo vale per qualsiasi disabilità e per qualsiasi sport. Sono piccole accortezze, che il Covid ha reso ancora più rare, ma che hanno la capacità di trasformare un incubo in un'esperienza piacevole. E vi assicuro che, senza queste attenzioni, la partita di un figlio può essere un vero incubo, per un padre cieco come me”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)