Carcere E. Romagna, le criticità secondo il garante: sovraffollamento e presenza di neonati

Negli istituti penitenziari emiliano-romagnoli ancora quasi 400 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Il garante: “Nel 2019 15 neonati sono rimasti diversi giorni nelle carceri regionali. Le rivolte? Una situazione incredibile. Bene il provvedimento inserito nel Cura Italia”

Carcere E. Romagna, le criticità secondo il garante: sovraffollamento e presenza di neonati

Le rivolte, il sovraffollamento e l’emergenza Covid dentro le carceri. Sono i punti affrontati dal garante regionale dei detenuti dell’Emilia-Romagna Marcello Marighelli durante la commissione Parità e diritti. Questione cruciale, il sovraffollamento, “che impedisce di dare dignità ai detenuti. C’è grande carenza di spazi per il pernottamento, ma anche per le attività lavorative e per quelle di rieducazione. C’è anche un ulteriore problema: nella nostra regione sono detenute molte persone che non hanno un legame con la regione, quindi diventa difficile il reinserimento sociale”. Per quanto riguarda i numeri, prima dell’emergenza si registravano quasi 4 mila detenuti rispetto a una capienza regolamentare inferiore a 3 mila posti, poi gradualmente questa presenza si è ridotta soprattutto a causa della necessità di provvedere a importanti trasferimenti (in totale 457) a causa dei disordini e delle rivolte provocate nelle carceri di Modena, Bologna e Reggio Emilia: “Ma se anche le persone detenute sono diminuite, i problemi ancora ci sono: ci sono 177 persone in più nel carcere di Bologna, 105 a Ferrara, 99 a Reggio Emilia e 79 a Piacenza".

Un’altra criticità espressa dal garante riguarda la detenzione femminile: “A Modena si registrava la presenza di 41 donne, poi la struttura è stata completamente evacuata, le donne sono state trasferite principalmente a Trento. Attualmente la situazione di Forlì è tornata alla normalità con 13 presenze, ma ce ne sono state anche 25, a Bologna adesso ci sono 68 donne ma ce sono state anche 80. Durante la fase emergenziale, per prima cosa abbiamo cercato di verificare che non fossero presenti nelle carceri donne con bambini. Lo voglio ribadire ancora una volta: nella nostra regione, la presenza di bambini negli istituti penitenziari è un problema molto serio. Nel 2019, in Emilia-Romagna, 15 neonati sono rimasti diversi giorni nelle carceri nonostante non siano dotati dell’istituto a custodia attenuata per madri detenute, di casa famiglia protetta o della sezione penitenziaria nido”.

Poi c’è il capitolo rivolte. “L’11 marzo ho visitato la casa circondariale di Modena. La rivolta era appena terminata e ho trovato una situazione incredibile, gli edifici erano danneggiati dal fuoco, gli arredi e gli impianti elettrici erano distrutti, sia nel nuovo sia nel vecchio padiglione”. Marighelli promuove il provvedimento del governo inserito nel decreto Cura Italia, “che non ha consentito di fare uscire i colpevoli di gravi reati, ma è intervenuto sulla legge già esistente, che permette di far scontare nel proprio domicilio gli ultimi 18 mesi della pena, purché non siano condanne per gravi reati”. Per quanto riguarda la tecnologia ormai ‘entrata’ nel carcere, quella non uscirà più: “I colloqui via Skype tra detenuti e familiari proseguiranno, addio ai telefoni a gettoni”.

Sempre in commissione, sul carcere di Piacenza la direttrice Maria Gabriella Lusi ha sottolineato che “da subito si è capito che la nostra zona era fra le più colpite, quindi abbiamo subito preso provvedimento e studiato un piano d’azione. Già dal 25 febbraio abbiamo interrotto i colloqui e gli accessi e tutto il personale è stato sottoposto a tampone. Tra i detenuti, solo 5 sono risultati positivi al Covid”. Le funzionarie della Regione Anna Cilento e Monica Raciti hanno spiegato che “le rivolte sono state tragiche e hanno colpito duramente anche il personale sanitario; sono state distrutte apparecchiature e presi d'assalto gli ambulatori. La rivolta di Bologna ha provocato una grossa promiscuità, ma tutto sommato il sistema ha retto bene”. Altro problema è che “in molti casi molte persone non hanno un domicilio dove svolgere la detenzione domiciliare, quindi abbiamo cercato di mettere le persone nella condizione di anticipare un percorso di reinserimento, anche in un'ottica di contrasto alla recidiva”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)