Che lingua parlano i nostri giovani? Bisognerebbe trovare il modo di bilanciare le diverse forme comunicative

Lo slang giovanile è fortemente condizionato dai social, dal mondo dei videogame e dai “banditori” che imperversano su tiktok.

Che lingua parlano i nostri giovani? Bisognerebbe trovare il modo di bilanciare le diverse forme comunicative

Che lingua parlano i nostri giovani?

Una sorta di “tecnoslang”, afferma qualcuno. Ovvero un gergo molto particolare, infarcito di tecnicismi, un ibrido mix fra inglese e italiano, la cui principale connotazione è la rapidità e l’immediatezza. Non è per niente facile raccontare questa lingua assai mutevole, permeabile a regionalismi e localismi.
E poi questo linguaggio assume connotazioni diverse a seconda dell’uso: nella comunicazione online, quella delle chat per intenderci, i teenager si servono di moltissime sigle, acronimi, parole “svuotate” dalle vocali o “in codice”, spesso condite da artifici retorici piuttosto originali. Tra le più diffuse “forme contratte” troviamo: OMG (Oh My God, a indicare stupore); TBH (To Be Honest, a dire il vero); XOXO (una sorta di emoticon il cui significato è “baci e abbracci”), Bro (fratello, socio); BAE (Before Anything Else, un modo di definire la persona del cuore).

Lo slang giovanile è fortemente condizionato dai social, dal mondo dei videogame e dai “banditori” che imperversano su tiktok.

Il mix tra anglicismi e influenze social produce termini come killare (uccidere), shottare (colpire), bannare (buttare fuori), floppare (avere insuccesso in rete), defolloware unfolloware (smettere di seguire una persona in rete), spottare (scrivere sul conto di qualcuno in forma anonima).

Molte di queste parole e frasi hanno vita breve, o addirittura brevissima. Sono “effimere”, un po’ come la “socialità” che le produce. In effetti, la finalità del gergo giovanile non è diventare “normativo”, estendersi al resto della popolazione, anzi, si potrebbe dire proprio il contrario. Lo slang e i neologismi dei giovani identificano il gruppo e lo differenziano dalla massa, si tratta di linguaggi il cui fine principale è “rompere” schemi e strutture del mondo adulto.

Tra i neologismi recenti più utilizzati troviamo i verbi triggerare droppare. Il primo indica qualcosa che attira negativamente l’attenzione, magari generando rabbia o disgusto; il secondo fa riferimento alla pubblicazione, o condivisione di foto o materiale multimediale in rete.

Anche sulle emoticon ci sarebbe molto da dire. Hanno vita breve, “passano di moda”. In rete è possibile trovare “classifiche” dedicate agli emoji ormai usate solo dai boomer, come il “pollicione” equivalente a un “va bene”.

A proposito… I boomer, ovvero figli dell’epoca del boom economico degli anni Sessanta del secolo scorso, quindi “antichi”, sono ovviamente gli adulti. Interessante anche soffermarsi sull’origine di questa espressione (“Ok, boomer!”), adoperata da una deputata neozelandese per “zittire” un collega più anziano che interveniva sulla questione ambientale. Oltre che boomer, gli adulti per gli adolescenti sono spesso pure cringe, ossia imbarazzanti. Anche questa espressione, diffusa su YouTube, è divenuta in brevissimo tempo virale.

Difficile intuire che dietro la “cortina del silenzio”, che i nostri adolescenti spesso ci riservano, si cela un tale “fermento” linguistico. Il “ticchettio” delle tastiere scandisce un ritmo comunicativo vitale e variegato, ma riservato quasi esclusivamente ai pari.

Dentro a una qualsiasi lingua c’è l’identità di chi la “conia” e qui troviamo vitalità, ironia e una certa raffinata fantasia. Soprattutto troviamo forti “contaminazioni” tra mondi paralleli, voglia di evasione e separatismo.

Bisognerebbe trovare il modo di bilanciare le diverse forme comunicative e riuscire a individuare canali percorribili anche da noi adulti. In questo le pareti domestiche spesso non sono di aiuto: amplificano gli isolamenti tra i diversi membri della famiglia, che poi trovano sfogo nei canali sotterranei delle chat e nei social.

C’è da dire che il dialogo intergenerazionale non è mai stato un’operazione semplice, soprattutto perché le voci tendono a sovrapporsi e le opinioni entrano spesso in rotta di collisione. Una buona strategia potrebbe essere quella dell’ascolto attivo, da attuare e insegnare. Senza dimenticare che ascoltare vuol dire soprattutto “accogliere”, al di là di qualsiasi slang.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir