“Chiama ambulanza”. Robert, che moriva di freddo e di abbandono

Robert (nome di fantasia) ha trent’anni, è originario della Nigeria e da un paio d’anni vive a Bolzano, tra gli “invisibili” che hanno trovato rifugio nei pressi di ponte Roma, lungo il fiume Isarco, sotto i piloni del viadotto dell’A22.

“Chiama ambulanza”. Robert, che moriva di freddo e di abbandono

Era sempre il primo a presentarsi e a salutare Carla, la veterana dei volontari, chiamandola “mamma”. Due settimane fa, però, nessuno lo ha visto.

Robert (nome di fantasia) ha trent’anni, è originario della Nigeria e da un paio d’anni vive a Bolzano, tra gli “invisibili” che hanno trovato rifugio nei pressi di ponte Roma, lungo il fiume Isarco, sotto i piloni del viadotto dell’A22. Sulle loro teste si rincorre la vita, mentre loro, là sotto, la vita cercano di tenersela stretta e di difenderla con le unghie e coi denti. Lo fanno da anni, fin da quando sono venuti al mondo. Lo hanno fatto anche quando, tra violenze e pericoli, hanno attraversato il mare stipati come sardine su gommoni in balìa delle onde.

Dormono in piccole tende, sistemate sul selciato a ridosso della barriera di lamiere che circondano i piloni del viadotto, strette l’una accanto all’altra per difendersi dal freddo più duro e pungente, quello che – quando la colonnina del mercurio scende abbondantemente sotto lo zero, come in queste settimane di gennaio – si fa un baffo del sacco a pelo e delle coperte e ti entra fin dentro le ossa.

Nei mesi invernali è attivo nel capoluogo altoatesino il programma “Emergenza freddo”, ma la richiesta supera di gran lunga la disponibilità di spazi. Come se non bastasse, poi, a rendere ancor più complicata la situazione ci si è messo pure il virus, con il suo corollario di regole, disposizioni e misure anticontagio. E così ci sono “invisibili tra gli invisibili” come Robert, che l’”emergenza freddo” l’affrontano di persona, in prima linea, giorno dopo giorno, nella speranza che passi l’inverno.

Tante sono le vie che hanno portato queste persone sulla strada. Nella maggior parte dei casi sono persone che hanno presentato domanda di permesso di soggiorno, ma questo gli è stato negato. Lunghi mesi di attesa per passare poi, nel giro di poche ore, da “richiedenti asilo” a “clandestini”. Invitati a lasciare le strutture in cui avevano trovato accoglienza, sono finiti in un vicolo cieco: senza un luogo in cui far ritorno la sera è difficile trovare un lavoro, e senza un lavoro è difficile trovare i soldi per pagare l’affitto anche solo di una stanza.

Un gruppo di volontari si preoccupa di raccogliere e portare loro coperte, sacchi a pelo, abiti pesanti e scarpe, the caldo e pizza. Insieme a “mamma” Carla, c’è anche Papadam Diop. Senegalese, originario di Saint-Louis, Diop ha fatto parte della nazionale di karate del suo Paese. In Italia è arrivato all’inizio degli anni Ottanta. Oggi è cittadino italiano e lavora in una grande fabbrica di Bolzano, dove è anche rappresentante sindacale. Accanto al lavoro porta avanti iniziative culturali e sportive e progetti di solidarietà, che racconta sulla sua pagina Fb.

È stato proprio Diop il primo ad accorgersi, domenica 16 gennaio, dell’assenza di Robert. “Non vedendolo – racconta su Fb – mi sono avvicinato alla sua tenda e lui, con una voce sofferente, mi ha detto ‘chiama ambulanza’”. Il giovane stava letteralmente morendo dal freddo.

Subito allertati attraverso la centrale del 112, gli operatori della Croce Bianca arrivano sul posto e portano Robert in ospedale. “Ho finalmente avuto notizie di lui – scrive qualche ora dopo Diop – è in rianimazione. Gli è stata diagnosticata una polmonite bilaterale. Niente Covid. Sicuramente ha sofferto tanto per il freddo. Speriamo bene per lui e per tutte le persone che non hanno un posto caldo dove ripararsi dal freddo”.

Robert rimane sei giorni in terapia intensiva. Venerdì 21 gennaio, visto che reasce bene alle cure, i medici decidono di trasferirlo in medicina, per tenerlo ancora qualche giorno sotto controllo prima di rimandarlo “a casa”. Ma in quale “casa”?

Su Fb parte subito un appello: “Un nostro carissimo amico senza fissa dimora – scrive Diop – rimarrà alcuni giorni nel reparto di medicina prima di tornare a “casa”. Solo che casa sua, fino alla settimana scorsa era la strada e la sua tenda. Aiutiamolo a trovare un posto caldo e a non tornare in strada, vista la malattia che gli è stata diagnosticata. Vi assicuro che anche ieri (20 gennaio, ndr) in ospedale si è commosso e ha chiesto aiuto per rientrare in possesso del suo permesso di soggiorno che aveva anni fa per poter rimettersi nel giusto binario”.

Lunedì scorso, 24 gennaio, arriva sul cellulare di Papadam Diop una chiamata. È l’ospedale. Robert sta meglio e sarà dimesso alle 14.45. “Quando l’ho saputo – racconta il volontario su Fb – ho veramente tirato un sospiro di sollievo, ma quando ho saputo che non era stato trovato un posto al coperto dove potesse dormire e che avrei dovuto riaccompagnarlo nella sua tenda mi è venuto un colpo. Con le temperature gelide di questi giorni non può dormire fuori. È in convalescenza e deve essere seguito”. Diop chiede di posticipare le dimissioni del giovane nigeriano, ma non è possibile. Dai centri di accoglienza dicono che non possono accoglierlo: Robert non è vaccinato, e fintanto che sarà sotto terapia antibiotica non potrà fare il vaccino. Diop non può ospitarlo e non giungono altre soluzioni.

L’immagine mossa di Robert, che in jeans neri e camicia in pile a scacchi bianchi e neri fa ritorno col capo chino alla sua tenda tenendo tutto il suo “mondo” in due borsoni, lascia senza parole.

La catena della solidarietà sui social questa volta non spicca il volo. E Robert deve trascorrere la notte a “casa”. In tenda a -4°C.

All’indomani, ecco arrivare la svolta: al centro di accoglienza gestito dall’associazione Volontarius c’è un posto per Robert. Ancor prima di mezzogiorno gli operatori dell’associazione vanno dal giovane nigeriano, lo prendono dalla sua tenda e lo accompagnano al drive through dell’ospedale per fare il tampone. Poco dopo le 15 Robert può riposare in un vero letto, al caldo, con un tetto sulla testa. Nel centro potrà restare almeno per tre settimane. Potrà recuperare le forze e gli operatori della struttura lo aiuteranno a prendere gli antibiotici e a seguire le terapie prescritte dai medici.

“Il nostro augurio – conclude Papadam Diop – è che Robert possa ora recuperare la salute e che possa tornare in possesso dei suoi documenti, così da avere una vita normale e un lavoro. Come tutti”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir