Cosa vogliono le persone disabili? Nasce il Registro dei desideri

Grazie alla collaborazione tra istituzioni e associazioni, a Reggio Emilia un Registro raccoglie le aspirazioni di quanti in genere non vengono consultati con l’obiettivo di rispettare le loro volontà anche quando verrà a mancare il sostegno familiare. E si scopre che tanti dichiarano di voler lavorare, viaggiare, decidere in autonomia dove e con quali persone abitare

Cosa vogliono le persone disabili? Nasce il Registro dei desideri

“La vita non ha un senso: è desiderio. Il desiderio è il tema della vita, è quello che spinge una rosa a essere una rosa e a voler crescere così, e una pietra a contenere se stessa e rimanere così". In questo modo parlava Charlie Chaplin in Luci della ribalta, dove il desiderio appare come il motore del mondo e dell’agire umano. Ma, nella nostra società, desiderare è un diritto di tutti? Esistono desideri di serie A e desideri di serie B? E quanto sono tenuti in considerazione i desideri delle persone con disabilità e il loro diritto all’autodeterminazione?

Il Registro dei progetti esistenziali di vita nasce proprio dalla necessità di dare voce ai desideri delle persone con disabilità: un registro ufficiale che ha l’obiettivo di tenere traccia delle loro abitudini, bisogni e aspirazioni, per rispettare la loro volontà anche quando viene a mancare il sostegno familiare. Reggio Emilia è stata la prima città in Italia a istituirlo: un primo progetto pilota è partito due anni fa nell’ambito dell’iniziativa “Reggio Emilia città senza barriere”, e a dicembre 2020 il Registro è stato depositato presso l’Ufficio anagrafe del Comune, dove in atti ufficiali – sebbene ancora non vincolanti – vengono ora registrati i desideri delle persone disabili.

L’idea nasce dal giurista Paolo Cendon, che vede il Progetto esistenziale di vita (Pev) come un naturale proseguimento della legge sul Dopo di noi. “In Italia, anche prima esisteva una legge che si interessava delle aspirazioni e dei bisogni della persona con disabilità: la numero 6/2004 sull’amministrazione di sostegno – spiega Cendon –. In entrambe le norme, però, gli aspetti su cui ci si concentra sono quelli economici, residenziali e le necessità socio-assistenziali della persona con disabilità, mentre si trascura la questione dell’autodeterminazione delle scelte di vita del singolo. Manca insomma un contatto con gli aspetti ‘liquidi’, la sfera personale, spirituale, quotidiana, fatta delle piccole cose che rendono una persona quella persona: com’è pensabile che elementi così importanti non vengano presi in considerazione?”.

Il Registro è stato depositato presso l’Ufficio anagrafe del Comune, dove in atti ufficiali – sebbene ancora non vincolanti – vengono ora registrati i desideri delle persone disabili.

A Reggio Emilia il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione tra diversi soggetti: oltre al Comune, le Farmacie comunali riunite, l’Ausl, la Fondazione Durante e dopo di noi e l’associazione Diritti in movimento. “Insieme abbiamo cercato di capire se fosse possibile calare nel concreto l’idea teorica di Cendon, e in che modo”, racconta Enza Grillone, presidente della Fondazione Durante e dopo di noi e madre di una donna di 47 anni con una disabilità complessa. “Abbiamo buttato giù un’ipotesi di realizzazione e poi abbiamo fatto una prima sperimentazione, coinvolgendo tre operatori e dieci famiglie di persone con disabilità. Ci siamo concentrati soprattutto sulla struttura dell’intervista, in modo da costruire domande che fossero comprensibili e fare un lavoro di interpretazione delle risposte”.

Per chiedere di depositare il proprio Pev è necessario essere maggiorenne, risiedere a Reggio Emilia e avere una disabilità riconosciuta dalla legge 104/92. Le interviste spaziano in tutte le sfere della vita di una persona, dalle amicizie alla sessualità, dal rapporto con la famiglia all’abitare, dal lavoro al tempo libero. Le tecniche utilizzate per porre le domande sono diverse: per esempio, con i ragazzi autistici si usa il tablet e la comunicazione aumentativa, oppure con una persona tetraplegica non in grado di parlare l’intervista può essere svolta in presenza dei familiari, che aiutano a interpretarne le espressioni del volto.

“Nella fase di sperimentazione, abbiamo capito che è possibile raccogliere un parere anche da una persona con grave disabilità, anche cognitiva. Noi genitori pensiamo sempre di sapere cosa vogliono i nostri figli disabili, invece a volte ciò che è bene per noi non è detto che sia un bene per loro”

“Nella fase di sperimentazione, abbiamo capito che è possibile raccogliere un parere anche da una persona con grave disabilità, anche cognitiva – continua Grillone –. Noi genitori pensiamo sempre di sapere cosa vogliono i nostri figli disabili, invece a volte ciò che è bene per noi non è detto che sia un bene per loro. Un altro rischio è quello di “congelare” i desideri delle persone con disabilità: dopo che abbiamo capito che a nostro figlio piace una determinata cosa continuiamo a proporgliela, senza pensare che nel tempo i suoi gusti e le sue passioni potrebbero cambiare. Ecco perché vorremmo aggiornare il registro periodicamente, testimoniando l’evoluzione dei bisogni della persona nel tempo”.
Una volta presentato, il Pev viene esaminato da una commissione composta da tre persone con specifiche competenze legali, psicosociali, medico-sanitarie, e quindi depositato negli uffici dell’anagrafe, per essere tenuto in considerazione quando i genitori e le persone più vicine non ci saranno più. “Quando si tratta di persone con disabilità, nessuno parla mai di desideri e di sogni: essere la prima città che prova a mettere in pratica questa idea ci rende molto orgogliosi”, commenta Annalisa Rabitti, assessore a Cultura, pari opportunità e città senza barriere del Comune di Reggio Emilia e mamma di un ragazzo con disabilità. “All’inizio è stato difficile capire come scrivere un Progetto esistenziale di vita, perché dovevamo partire da zero. Man mano siamo arrivati a definire un format e abbiamo stimato che ci vogliono intorno alle 20 ore di ascolto per redigere ciascun Pev. Per prima cosa c’è l’incontro con il soggetto: a volte ha voglia di parlare, altre volte no, a volte comunica in modo diverso rispetto al linguaggio verbale. Poi vengono ascoltate le persone di prossimità, come i genitori, i fratelli, la badante, ma anche l’insegnante di nuoto o l’amico di scuola. Si visita la sua casa e i luoghi più significativi. Alla fine, si arriva a un quadro della vita quotidiana di quella persona in quel momento: per esempio, mio figlio ama le felpe con il cappuccio, ascolta i Queen e i Kasabian e al mare odia stare con il sole negli occhi. Tutti questi dettagli formano un piccolo patrimonio di informazioni affettuose, che grazie al Registro finalmente sono messe nero su bianco”.

E di quei piccoli particolari che, messi insieme, creano la costellazione di una persona, parla anche Teresa Benevento, madre di Marco, 28 anni e una disabilità motoria, che ha deciso di partecipare alla fase di sperimentazione del progetto. “Non è mai stata fatta una cosa del genere: tenere in considerazione i desideri, i bisogni, le preferenze, dalle cose più grandi alle più piccole, è qualcosa di rivoluzionario – dice –. Io ho partecipato solo all’incontro preliminare, poi Marco ha fatto tutto da solo, visto che è autonomo sia verbalmente che cognitivamente. La sua passione più grande è quella della fotografia, fin da quando era piccolo. Da ottobre ha iniziato a lavorare, è stato chiamato come collaboratore scolastico in una scuola: è molto contento, ha l’occasione di conoscere nuove persone e costruire relazioni. Il suo sogno, e quindi anche il mio come mamma, è quello di continuare a lavorare e andare vivere da solo, per potersi sperimentare in totale autonomia”.

A partecipare alla fase di sperimentazione c’era anche Francesca Pagliarini, 49 anni, con difficoltà motorie. Francesca lavora come impiegata in banca da ormai 27 anni e, fuori dall’ufficio, ha un sacco di passioni: il cinema, la musica, il teatro, il ricamo e i viaggi, ma soprattutto il basket – è una tifosa della Pallacanestro Reggiana e prima della pandemia andava tutte le domeniche a vedere le partite. “Quando ho saputo della possibilità di scrivere il mio Progetto esistenziale di vita ho subito chiesto di partecipare: non mi era mai successo che qualcuno mi domandasse dei miei desideri – racconta –. Sono figlia unica e ho due genitori di 88 anni: quando loro non ci saranno più voglio avere la possibilità di continuare le mie attività e di seguire le mie passioni. Ho acquistato una casa tutta mia, dove vorrei andare ad abitare, magari con l’aiuto della mia assistente familiare. Comunque io mi posso considerare fortunata, perché ho sempre potuto esprimere la mia opinione e le mie preferenze, dicendo chiaramente quali sono le mie necessità. Per chi invece ha problemi cognitivi o fa fatica a parlare, partecipare a un progetto come questo è ancora più importante”.

“Quando ho saputo della possibilità di scrivere il mio Progetto esistenziale di vita ho subito chiesto di partecipare: non mi era mai successo che qualcuno mi domandasse dei miei desideri”

Nei prossimi mesi verrà messa a punto la procedura di deposizione del Pev presso l’Ufficio anagrafe di Reggio Emilia, e si definiranno gli attori coinvolti nella gestione del servizio. Una quindicina di persone con disabilità stanno già aspettando di depositare i propri desideri, ma il progetto interessa potenzialmente una platea ben più ampia (sono circa 700 gli individui presi in carico dai servizi sociali comunali). “Il fatto che un Comune come Reggio Emilia abbia dato corpo a un’idea che prima era solo teorica fa sì che l’interesse cresca anche da altre parti, e alcuni territori si stanno già muovendo: proposte analoghe si registrano da parte delle Regioni Lazio e Umbria – conclude il professor Cendon –. A livello nazionale, stiamo lavorando a una proposta di legge per ufficializzare il Registro ed estenderlo al resto del Paese, per certificare l’obbligo di uniformare e rispettare i Pev quando viene a mancare il sostegno familiare. L’iniziativa ha un valore contagioso: le persone fragili non vanno abbandonate, e devono poter determinare il proprio futuro. Reggio Emilia dimostra che è possibile farlo”.

(L’inchiesta è tratta dal numero di aprile di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

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