Dall'orto all'arteterapia, un cantiere che sa di innovazione
La Fondazione Piccolo Rifugio di San Donà di Piave porta avanti dal 2016 un servizio per un gruppo di sei persone disabili che non riuscivano a trovare una collocazione né nei centri diurni né nelle comunità d'alloggio
Orto, giardinaggio, cucina, ginnastica e arteterapia. Sono alcune delle attività del Cantiere dell’innovazione di San Donà di Piave, in provincia di Venezia, il progetto della Fondazione Piccolo Rifugio portato avanti in collaborazione con la locale Asl, nato per aiutare un gruppo di adulti con disabilità che non riuscivano a trovare una collocazione né nei centri diurni né nelle comunità alloggio. Al momento il progetto ospita sei persone disabili, tra i 20 e i 50 anni, che frequentano il Cantiere per cinque giorni alla settimana, dalle 8.30 alle 14.30, per poi fare ritorno in famiglia. «Si va sempre di più verso una nuova visione della persona con disabilità», spiega Alice Marigonda, responsabile educativa del progetto. «In termini di empowerment, si cerca di attivare le sue capacità personali, in vista di un’autonomia e di un’autodeterminazione. L’idea è quella di un servizio che permetta alle persone con una disabilità lieve di poter rimanere all’interno del contesto familiare e, parallelamente, fare un percorso di crescita e maturazione personale valorizzando le capacità di ognuno».
Tutto ha inizio nel 2016, a seguito di una delibera della Regione Veneto che metteva a disposizione fondi per far partire attività sperimentali per le persone con disabilità: la Fondazione Piccolo Rifugio aveva allora dato avvio al progetto “Green Farm”, una prima sperimentazione a cui, dal 2019, è seguito il Cantiere. In tutto, in cinque anni, sono state 15 le persone che hanno partecipato alle attività proposte. «Una volta terminati i fondi regionali, la Conferenza dei sindaci del Veneto Orientale ha deciso di finanziare il proseguimento di queste attività, in accordo con il privato sociale», racconta Paolo Peretti, uno dei fondatori del progetto. «Si è capito che era necessario dare risposte più idonee ai soggetti che non si adattavano bene ai centri diurni, dove la proposta spesso è pensata per persone che hanno una disabilità abbastanza elevata». La sfida era complessa: bisognava creare un servizio da zero, partendo esclusivamente dai bisogni delle persone. Ci si è guardati intorno: la Fondazione Piccolo Rifugio aveva un ampio spazio verde, e da lì si è cominciato.
«Inizialmente abbiamo avviato l’attività di orto e giardinaggio: per noi educatori il verde è uno strumento per raggiungere alcuni obiettivi di autonomia», dice Marigonda. «Quando arrivano da noi, molte persone sono passive, non hanno impegni né responsabilità. Noi insegniamo loro cosa vuol dire avere un compito: dal sapere come muoversi da sole all’interno degli spazi al riuscire a organizzare le attività, dall’usare gli strumenti da giardino all’imparare a gestire i propri tempi, fino a sperimentarsi nel raggiungere in modo indipendente la struttura con l’autobus. E poi c’è l’aspetto relazionale, che è fondamentale: la dimensione di piccolo gruppo permette di lavorare in modo più ravvicinato con le persone, affinché ciascuno abbia i propri obiettivi individuali da raggiungere». Negli anni, poi, si sono aggiunte anche altre attività, come la ginnastica dolce e il laboratorio di cucina, con la preparazione quotidiana del pranzo. «Abbiamo una piccola cucina dove ci sperimentiamo ogni giorno, approfittandone per lavorare ancora di più sull’autonomia», continua Alice Marigonda. «Tra l’altro, gli ingredienti che utilizziamo sono i prodotti dell’orto coltivato dai ragazzi stessi. È una grande soddisfazione mangiare i frutti del proprio lavoro: cuciniamo un’ottima carbonara di zucchine e delle buonissime zucchine fritte».
Infine c’è l’arteterapia che, attraverso la pittura libera e la pedagogia steineriana, consente di lavorare sulle proprie emozioni. «Si tratta di un percorso di autoconsapevolezza, che permette a ciascuno di esprimere le proprie emozioni sia in base al tipo di pennellata sia in base al colore», afferma la responsabile educativa. «Per esempio, il blu è il colore dei polmoni, del respiro, di quando si viene al mondo. Il rosso è il colore della vita, del sangue, delle radici. C’è stato chi, dipingendo, ha dato sfogo a uno stato di ansia, chi invece si è sentito più consapevole di sé. E poi la pittura aiuta a migliorare le proprie capacità manuali: alcune delle persone che frequentano il Cantiere hanno spasmi, altre soffrono di ipotonicità muscolare: dipingere permette di rilassare i muscoli e allenare il movimento, migliorando la precisione della mano».
Durante l’emergenza sanitaria, le attività del Cantiere dell’innovazione hanno subito un arresto: lo spazio è rimasto chiuso da marzo fino a maggio 2020, ma grazie ai mezzi digitali gli educatori hanno continuato a lavorare con gli ospiti anche a distanza. Dall’estate scorsa, poi, sono ripartiti i percorsi in presenza, che non si sono fermati più se non a gennaio di quest’anno, ma solo per un mese: un accesso autonomo e il giardino di più di duemila metri quadrati consentono di mantenere le distanze di sicurezza. «Ogni persona che arriva da noi porta qualcosa di sé, che è diverso dagli altri e che è spunto per imparare qualcosa di nuovo: questo ci incentiva a creare sempre attività diverse, che nascono proprio dagli interessi delle persone che ci troviamo davanti», conclude Marigonda. «L’obiettivo è che chi passa per il Cantiere evolva e faccia poi un percorso che lo porti verso nuove sfide: mettiamo in rete tanti attori del territorio per promuovere inserimenti lavorativi o un’esperienza di vita indipendente, per esempio all’interno del cohousing. La direzione è sempre la stessa: la realizzazione della persona e l’autodeterminazione delle sue scelte di vita».
(L’articolo è tratta dal numero di ottobre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)
Alice Facchini