Il grande Kobe e il piccolo Kobe, il campione e il bambino malato

Solo dopo la morte del grande campione di basket Kobe Bryant si viene a sapere una bella storia di solidarietà.

Il grande Kobe e il piccolo Kobe, il campione e il bambino malato

Per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità di storie buone che edifichino, che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme”. (Papa Francesco, tweet del 24 gennaio 2020)

Domenica 26 gennaio. Negli Stati Uniti è il primo pomeriggio. La notizia che la star dell’Nba Kobe Bryant ha perso la vita in un tragico incidente in elicottero insieme alla figlia tredicenne Gianna e ad altre sette persone ha già fatto il giro del mondo.

Kristen O’Connor Hecht prende la chiave del suo personalissimo “diario dei ricordi” e lo apre. “È giunto il momento che tutti sappiano cosa è successo quel giorno”, pensa. Apre Facebook e pubblica un post. L’unico, della sua pagina, che tutti possono leggere. Anche quelli che non sono “amici”. Perché è giunto il momento di rompere il silenzio e rivelare quel segreto custodito per anni.

“Vi racconto una storia… – scrive Kristen – Quando vivevamo a Phoenix, spesso le mie strade e quelle di mio marito Tom si incrociavano nel nostro lavoro. Un cardiologo pediatrico con cui ho lavorato mi ha chiesto se Tom poteva ottenere qualcosa di autografato dai Lakers per un paziente malato terminale di 5 anni, che si chiamava Kobe. Era originario di una delle riserve in Arizona, dove il basket è come una religione”.

Tom Hecht, marto di Kristen, all’epoca era responsabile marketing dei Suns. “Ho chiamato Tom ai Phoenix Suns, immaginando che sarebbe stato praticamente impossibile ottenere qualcosa – prosegue Kristen -. I Lakers sarebbero arrivato a giocare contro i Suns proprio quella settimana”.

Il giorno seguente, il telefono di Kristen suona. È Tom. Le dice: “Lo farà!”. Lei è emozionatissima al pensiero che sarebbe riuscita a portare una palla o qualcos’altro al lavoro. Ma non aveva compreso bene le parole del marito. “No – aggiunge l’uomo – ha letto il tuo messaggio e vuole venire di persona e incontrare il bambino”. Kristen rimane letteralmente senza parole.

“Il giorno successivo, grazie all’aiuto della famiglia Colangelo, una limousine ha portato Kobe Bryant fino al mio ufficio – ricorda Kristen – in una coltre di segretezza (né la security né i PR erano stati informati… ho avuto un po’ di problemi per questo, ma ne è valsa la pena!) siamo saliti tutti e tre da una scala sul retro fino nella stanza del bimbo, in terapia intensiva cardiaca. Per quasi un’ora hanno giocato con una palla da basket, passandosela e ripassandosela, con il piccolo Kobe che rideva e la sua dolce mamma che sorrideva. Sono stati lasciati diversi oggetti autografati e sono state scattate molte foto. Le macchine che tenevano in vita il piccolo Kobe continuavano a suonare, ronzare e squillare e il suo dottore aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro, mentre Tom ed io assistevamo nervosi a questa incredibile scena che accadeva davanti ai nostri occhi”.

Prima di risalire sulla limousine, Kobe chiede a Kristen se poteva fare qualcos’altro per aiutare il piccolo Kobe. “È un problema di soldi? – ha chiesto – Perché mi posso prendere cura io di tutto quanto”. Non era una questione di denaro. Il bimbo aveva un grave difetto al cuore e le sue condizioni erano così gravi da rendere impossibile anche un trapianto. “Ero scioccata – ricorda oggi Kristen – non solo dalla sua sincerità, ma anche dalla gentilezza e dal calore che ha dimostrato”.

Il piccolo Kobe è morto la settimana successiva. “Circa tre settimane più tardi ricevetti una lettera della mamma del piccolo Kobe in cui descriveva la forza di quei momenti – prosegue Kristen -. Mi disse che quelli erano stati i momenti più felici dell’intera vita di suo figlio. E quelle foto erano le uniche foto che le erano rimaste in cui lui sorrideva. Stando allo staff di PR di Kobe Bryant, lui faceva cose del genere ovunque andasse, ma il patto era di non renderle pubbliche. Da quel giorno è stato il mio eroe e quando la gente mi diceva che non gli piaceva, dicevo: ‘lascia che ti racconti una storia…’. Possa la luce eterna di Dio illuminare per sempre la tua anima, Kobe”.

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Fonte: Sir