Il rischio di una fede artificiale. Alcuni libri -ma anche canzoni e film- ci mettono in guardia dall’avvento di una nuova religione delle macchine

I rischi di una tecnologia che si allontana sempre di più e dalla scienza e dall’umanità per trasformarsi in religione sono denunciati da sempre.

Il rischio di una fede artificiale. Alcuni libri -ma anche canzoni e film- ci mettono in guardia dall’avvento di una nuova religione delle macchine

Dei rischi connessi agli sviluppi di un’intelligenza artificiale sostitutiva -e non solo integrativa- è piena la letteratura dei libri e dei film. Gli sviluppi dell’AI però non fanno pensare e immaginare solo i non addetti ai lavori, ma gli stessi protagonisti, come Geoffrey Hinton, uno dei grandi della scienza delle reti neuronali, che ha scelto di lasciare il lavoro per Google: il linguaggio artificiale sta, questo il suo timore, prendendo il posto di quello umano.

Un po’ quello che accade in “Lei” o in “2001 Odissea nello spazio”, o che è accaduto realmente nel 2018 a Tokyo, dove Akihiko Kondo ha sposato un “sintetizzatore software, in forma di ologramma”, come ci racconta Chiara Valerio, matematica, oltre ad essere giornalista e scrittrice, nel suo recente “La tecnologia è religione” (Einaudi, 115 pagine, 13 euro). Il rischio denunciato da Hinton è affrontato da Valerio sul versante che avremmo chiamato tempo fa metafisico: la nuova verità rischia di essere quella dell’uso dell’essere umano come merce, in un processo colto in pieno Novecento dal sociologo Joseph Overton, secondo il quale un’idea considerata impresentabile, come l’aborto o l’eutanasia, nel tempo e con il sostegno di mass media attraverso la manipolazione e la persuasione del mercato dominante diventa lecita e legale.

Il problema di una scienza svincolata dalla coscienza è stato affrontato anche ultimamente: ad esempio dal giovane neuroscienziato Erik Hoel che nel suo romanzo “Le rivelazioni” (Carbonio ed) ha messo a nudo i limiti di una ricerca foraggiata dal grande mercato e sorda ai richiami della coscienza.

I rischi di una tecnologia che si allontana sempre di più e dalla scienza e dall’umanità per trasformarsi in religione sono denunciati da sempre, fin dai tempi di “The sound of silence” di Simon & Garfunkel, e siamo nel 1964, anche se solo con il film “Il laureato” (1969) assumerà una fama internazionale: la denuncia dei due musicisti e autori era diretta contro una modernità senza cuore, simboleggiata allora dal neon delle notti nelle megalopoli Usa, con quelle stupende parole in cui emergeva però già la nuova religione paventata da Valerio: “le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropolitane e agli ingressi dei caseggiati”.

La tanto bistrattata canzone, ritenuta a torto inferiore alla poesia, aveva dunque messo in guardia da una società in cui la darwiniana lotta per la vita -come intuito da Overton- era diventata la realtà stessa. L’ “Acquarello” del cantautore brasiliano Toquinho cantava nel 1983 che il futuro “è un’astronave che non ha tempo né pietà” e che “non chiede amore e non ne dà”. Un incontro musicale tra poeti, cantanti, musicisti (Sergio Endrigo, Vinicius de Moraes, Giuseppe Ungaretti, Toquinho ed altri) nel 1969 aveva creato un disco mitico dal titolo “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”:  mai un titolo è stato così anticipatore di tempi in cui l’incontro reale, in carne ed ossa, non esiste quasi più. Con i suoi pro, certo. Ma con i contro dell’assenza e dell’avvento della nuova religione binaria.

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Fonte: Sir